Approfondimenti in pillole
Luigi Nicolais: GNL scelta transitoria in attesa dell’idrogeno
Per il porto di Napoli un progetto parte integrante della città
di Emilia Leonetti
Materias, start up che agisce nel campo dei materiali innovativi, si trova in un’ala della Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II, a San Giovanni a Teduccio. Colpisce che un polo dell’innovazione e della ricerca sia in un’area, comunemente, considerata degradata. Eppure è proprio questa realtà così moderna, anche nella sua architettura, nei suoi corridoio luminosi, nella stanze colorate, oltre che nei suoi contenuti didattici e di ricerca, che dà alla periferia il ruolo di centro di Napoli.
E’ qui che ho incontrato il professore Luigi Nicolais, già Ministro della Funzione Pubblica, ex Assessore Regionale alla ricerca, docente di fama internazionale, che con passione si batte, tra le altre cose, per fare di Napoli uno dei luoghi del cambiamento, grazie alla capacità di realizzare progetti innovativi come quelli di cui si occupa “Materias”.
- Presidente, entriamo subito nel merito di due aspetti cruciali per il settore marittimo e della logistica: la semplificazione amministrativa e la digitalizzazione dei processi. La sua comprovata esperienza e competenza nel campo dell’innovazione tecnologica, avvalorata anche dal ruolo di presidente e fondatore di Materias – startup che aiuta le idee disruptive a raggiungere il mercato – può contribuire a delineare il contesto entro cui affrontare queste sfide.
Cosa ne pensa? Come ritiene si debba procedere nei porti del sistema campano? E in generale nel settore del trasporto marittimo e della logistica?
“Il problema della digitalizzazione dei processi è antico. Come Ministro della Funzione Pubblica (2006-2008) avviai un percorso di semplificazione della Pubblica Amministrazione che prevedeva, insieme all’uso della tecnologia, un cambio radicale di regole. Non si può lavorare con una tecnologia moderna e contemporaneamente con regole antiche. C’è stata – e c’è – una certa ritrosia da parte dei funzionari pubblici a usare sistemi informatici; questo è ascrivibile da un lato a ragioni anagrafiche e dall’altro perché lavorare in un sistema interoperante, in cui tutti i pc sono in rete e i dati distribuiti, è lontano dalla tradizione della PA. Mettere in rete i dati significa non detenerne il potere, e questo è difficile da accettare. Ritengo che una delle priorità sia ringiovanire il settore pubblico. Ma il blocco delle assunzioni verificatosi negli anni passati, la mancanza di competenze informatiche specifiche e una scarsa legislazione a favore della semplificazione hanno determinato l’attuale situazione di stallo. Inoltre, bisogna riflettere su una questione non di poco conto: in Italia il 20% del territorio non è coperto da larga banda, il che significa che esiste ancora un “digital divide” piuttosto rilevante, da cui discende una netta discriminazione che trasforma gli italiani in cittadini di serie A e di serie B, rispetto alla possibilità di interagire alle stesse condizioni per via telematica con la PA.
Avere una copertura omogenea dovrebbe essere un presupposto imprescindibile per il nostro Paese.
Un esempio lampante è rappresentato dalla didattica a distanza, adottata durante il lockdown nella città di Napoli ma non nell’Alto Beneventano o nell’Alta Irpinia. Inoltre, servono regole che aiutino a semplificare, dematerializzando buona parte di quei procedimenti amministrativi finora soltanto cartacei. Il mondo bancario in questo senso è un esempio da seguire. L’interoperabilità tra i diversi sistemi deve essere il vero obiettivo.”
- Professor Nicolais, in riferimento invece al sistema portuale, come ritiene che si debba procedere?
“Tutte le operazioni di imbarco e sbarco delle merci sarebbe auspicabile che avvenissero in tempo reale, in un’ottica di “Internet of Things”, in cui vi è l’interoperabilità tra sistemi diversi. In questo modo tutto il trasferimento di informazioni avverrebbe in un tempo reale infinitesimo. Credo, poi, che il porto di Napoli debba entrare in un grande progetto in cui sia la città ad essere protagonista.
Non si tratta soltanto di ripensare il traffico delle merci e dei passeggeri ma l’intero sistema fronte mare. Durante il mandato di Assessore Regionale mi sono battuto affinché il waterfront dello scalo partenopeo prevedesse l’insediamento di aziende ad alto contenuto tecnologico, impegnate nel campo della ricerca ed in grado di “produrre”conoscenza. Non si può, a mio parere, pensare ad un fronte mare con aziende tradizionali o inquinanti. Tant’è che a Portici abbiamo realizzato centri di ricerca, a Ercolano stiamo ampliando la facoltà di Agraria, a San Giovanni a Teduccio la facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con la presenza di molte Academy come Apple, Cisco ma anche Deloitte, Axa etc. Avevamo in animo di intervenire anche sull’ex area Corradini, trasformando la parte antistante al mare in un porto turistico, come è avvenuto a Castellammare di Stabia. Ciò che intendo dire è che il sistema costiero dovrebbe trasformarsi non soltanto in un luogo esteticamente gradevole, ma anche in un contesto dove vi sia creazione di valore, con attività ad alto contenuto di conoscenza. La soluzione sarebbe quella di progettare un “piano di sviluppo” di medio periodo, alla cui realizzazione partecipino tutti gli attori pubblici e privati. Ad oggi questo è mancato per l’area fronte mare. Bisognerebbe concordare un programma su cui si possa lavorare per almeno una decina d’anni.”
- Parlare oggi di innovazione porta inevitabilmente a considerare l’urgenza di rinnovare le flotte e di dotare i porti di impianti di GNL (Gas Naturale Liquefatto) e/o di elettrificazione delle banchine. Un tema complesso quello dell’impianto di GNL per il porto di Napoli, poiché esso è posto nel centro della città. Un’altra sfida è rappresentata dell’elettrificazione delle banchine che presenta barriere di accesso relativamente ai costi dei consumi elettrici diurni ed ai collegamenti di rete. In che modo il mondo della ricerca può favorire l’adozione di scelte che migliorino l’efficienza energetica, che sostengano la competitività del sistema portuale insieme alla sua sostenibilità?
“I modi sono molteplici. Noi guardiamo sempre alla realtà di oggi e ci basiamo su ciò che abbiamo. In Germania, ad esempio, si sta avviando un discorso molto ampio sull’idrogeno. Se pensiamo di continuare a produrre energia elettrica attraverso il fossile non riusciremo a creare un sistema di approvvigionamento energetico moderno. In Germania hanno definito un grande “progetto Paese” in cui si studia l’idrogeno perché, ad esempio, le auto ecologiche non potranno funzionare solo con l’elettricità. In tema di sostenibilità ambientale, ci siamo domandati come smaltire le batterie delle auto elettriche? Dove le compriamo? Attualmente i minerali utilizzati sono presenti solo in Cina e in Africa: quando alzeranno i prezzi, cosa faremo?
Bisogna immaginare qualcosa che non esiste: questo è il bello dell’innovazione. L’innovazione non può essere solo incrementale, su ciò che già esiste, ma è anche radicale, il che significa creare un mercato che ancora non esiste. Noi abbiamo troppo spesso la vista corta.
Tornando al waterfront, i lavori della metropolitana di piazza Municipio stanno per finire. Dovremmo pensare a cosa accadrà di qui a poco. Sarebbe opportuno puntare ad un porto moderno che utilizzi energie nuove, che non siano inquinanti, un porto che possa essere integrato nella città, un porto “friendly” per dirla all’inglese.
Il GNL, per rispondere alla sua domanda, è da considerarsi una scelta transitoria in attesa dell’idrogeno. Anche l’elettrificazione delle banchine dovrebbe, a mio parere, in futuro essere a idrogeno o a batteria. Ci vuole una visione e la capacità di individuare soluzione transitorie mentre si progetta il nuovo. Aggiungo che gli ambientalisti, spesso contrari a soluzioni “transitorie”, dovrebbero essere disponibili al confronto con il decisore pubblico perché i cambiamenti necessitano di tempi. è fondamentale, dunque, la progettazione di uno studio “Paese” sull’idrogeno.”
- Vorrei concludere la nostra intervista affrontando un argomento di ampio interesse: la relazione porto-città. In particolare, riferendoci alla zona orientale di Napoli dove ci troviamo oggi e dove grazie all’accordo tra Università Federico II e la Apple è nato il centro “Apple Accademy”. Quale ruolo svolgono in quest’area riqualificata della città l’Università e i centri di ricerca come il suo? Quale ruolo, secondo Lei, dovrebbero svolgere l’Autorità di Sistema Portuale, le Istituzioni, gli imprenditori per proseguire sul solco segnato dal mondo accademico e della ricerca scientifica?
“Uno dei ruoli che bisognerebbe assumere è la gestione dell’area ex Corradini, abbandonata oramai da venti anni. La creazione di un porto turistico in quell’area sarebbe stata attraente da un punto di vista logistico e commerciale, avrebbe creato posti di lavoro a San Giovanni a Teduccio, si sarebbe avvantaggiata dei trasporti ferroviari vicini. Anche in questa zona si dovrebbe predisporre un piano per l’insediamento di aziende ad alto valore di conoscenza. Si tratta di concordare un piano di marketing territoriale in cui Comune, Città Metropolitana, Regione e Autorità Portuale dovrebbero muoversi sinergicamente. La differenza sono le persone che, quando ricoprono ruoli istituzionali, dovrebbero essere capaci di creare relazioni con industrie, centri di ricerca, e attrarre potenziali investitori. La collaborazione tra questi è fondamentale, il lavoro di squadra tra pubblico e privato è determinante per fare massa critica e stabilire di concerto un piano di sviluppo. Infine, c’è bisogno della volontà di tutti per realizzarlo.”