Quattro domande a…
Il filo che lega lo scalo partenopeo a via Duomo
Il Presidente del Distretto Museale ricorda il legame storico tra il porto e la città
di Emilia Leonetti
Paolo Iorio è Presidente del Distretto Museale di via Duomo. Strada che dista, dall’ingresso di Varco Pisacane, pochi metri. E su questo legame, che affonda le radici nel passato, si è incentrata la conversazione con Paolo Iorio. Senza tralasciare la necessità di costruire una nuova collaborazione tra il porto e la strada che rappresenta, più di altre, il naturale collegamento alla città antica.
- Vorrei iniziare, chiedendole che relazione ha con il porto di Napoli?
“Con il porto di Napoli ho una relazione antica. Talmente antica che uno dei miei romanzi, Il Filo di lana, racconta l’immane tragedia dell’emigrazione che dalla fine dell’800 e sino ai primi anni del 1970 ha interessato milioni di donne e uomini del Sud Italia. Devo con rammarico ricordare che, mentre a Ellis Island di New York, hanno costruito un museo per gli emigranti, da noi non si è neanche pensato a porre una targa alla Stazione Marittima in memoria dei nostri connazionali. Il porto di Napoli, poi, sulla testata del Molo San Vincenzo ha la statua di San Gennaro. Quando gli emigranti partivano, dunque, l’ultima immagine era la statua del Santo Patrono della città, che insieme al Vesuvio, posto di fronte, racchiude la storia della terra che veniva abbandonata nella speranza di una vita migliore.
Al di là del mio romanzo e degli avvenimenti legati all’emigrazione, il porto per me è un crocevia straordinario del Mediterraneo. Un porto che durante il regno borbonico visse un periodo di grande sviluppo, grazie alla politica della famiglia reale che rese Napoli una città cosmopolita, tra le principali del 1700. Voglio ricordare il pittore Antonio Ioli che dipinse in due tele magnifiche la partenza di re Carlo III di Borbone per la Spagna, lasciando, a Napoli, il figlio di 8-10 anni Ferdinando II. In quell’occasione Carlo III portò con sé un pezzo di Napoli versando in un’ampolla del sangue di San Gennaro ( preso da una delle due ampolle depositate nel Duomo) e l’idea di Napoli facendo costruire a Madrid il palazzo reale sul modello di quello di piazza del Plebiscito. Voglio, quindi, affermare che lo scalo partenopeo è essenziale nella storia della città, non è solo il luogo da cui partono navi e traghetti. E’, ieri come oggi, il sintomo della trasformazione della città rappresentata in questo periodo storico dai grandi flussi di croceristi e di passeggeri per le isole, almeno nella sua parte occidentale”.
- I Musei di via Duomo di cui Lei è Direttore sono in linea d’aria a due passi dal Varco Pisacane. Forse questa zona della città, un tempo, era sul mare. Cosa dunque rappresenta per Lei e per questo pezzo di città, lo scalo?
“Sono Presidente del Distretto Museale che è stato costituito a via Duomo, che comprende otto musei straordinari: il Museo Filangieri, San Saverio al Pendino, Girolamini, Pio Monte della Misericordia, Archivio Storico del Banco di Napoli, Museo Diocesano e Museo Madre. Questa arteria così importante era sul mare, come correttamente afferma. Rispondendo, dunque, alla sua domanda è un’area strategica tanto che già un anno fa proposi all’Autorità Portuale di entrare a far parte del Distretto Museale. Innanzitutto inglobando una parte della città di così alto valore e poi perché per il porto noi rappresentiamo l’apertura verso la città. Al di là di Piazza Municipio, questa è la strada che collega al centro storico, verso i musei, verso Capodimonte. E’ la naturale prosecuzione del porto. Per questo ritengo che l’Autorità dovrebbe far parte del Distretto Museale e poi creando dei presupposti che uniscano due linee, solo apparentemente separati dalla strada e che potrebbero essere riunite, ad esempio, con una navetta o con altri strumenti che agevolino il collegamento tra scalo e zona antica.”
- Come esponente della cultura napoletana, quali trasformazioni immagina o auspica per il nostro porto. In che modo lo scalo partenopeo può diventare uno spazio di connessione tra culture e mondi diversi, oltre a essere un’importante infrastruttura per lo scambio di merci e di persone?
“Prima di tutto bisognerebbe aprire la stazione di Piazza Municipio. Essenziale per la godibilità della città e per usufruire del porto stesso. Oggi uno dei freni al porto è la strada di via Colombo/ via Acton che di fatto divide la città dallo scalo. Non dà la sensazione di una città aperta sul porto. Se pensiamo a Barcellona, le ramblas sono in diretta connessione con la zona portuale senza soluzione di continuità.
Altro dato fondamentale per la connessione sarebbe il ripristino della linea tramviaria che oltre a collegare Piazza Municipio con Poggioreale, conduce i turisti e i cittadini alle fermate dell’Immacolatella e di Via Duomo. Dal punto di vista degli edifici storici, l’Immacolatella Vecchia potrebbe essere un grande attrattore. Il nostro comun denominatore è l’arte, il bello, le tracce di un passato straordinario. Napoli è riuscita, se vuole per inerzia, a bypassare l’omologazione dovuta alla globalizzazione, riuscendo a mantenere la propria identità. Questo l’ha salvata. L’ identità è la fortuna del nuovo turismo. Credo che, per questo, nei prossimi anni Napoli e Palermo saranno le città più visitate e frequentate.
Avere un porto che sia, non solo luogo di passaggio, ma anche di arrivo, è decisivo per la crescita della città. Per l’Immacolatella Vecchia mi auguro che quanto prima venga aperto al pubblico. E’ un edificio che di per sé racconta una storia di esodo epocale di uomini e donne del Sud Italia. Il mio romanzo “Il filo di lana” parla del rito che accompagnava ogni partenza: dalla cima del bastimento srotolavano un gomitolo di lana che veniva afferrato dal parente sulla banchina e che lo manteneva finché non si rompeva. Il filo restava appeso, quindi il legame si spezzava, ma restava. Per cui questa storia va raccontata.
Due elementi legano Napoli agli Usa: il primo l’opera del padre di Gaetano Filangieri “ La scienza della legislazione” scritta nel 1700, dove inserisce un capitolo intitolato “il diritto alla felicità”, che sarà letta da Benjamin Franklin e con cui entrerà in contatto per dare consigli sulla stesura della Carta dell’Indipendenza degli USA. Il secondo elemento è che tutta l’umanità partita dal porto ha rappresentato la linfa vitale per la costruzione dell’America. E, poi, noi abbiamo 25 milioni di persone devote a San Gennaro, di queste la parte essenziale è proprio costituita dai nostri connazionali emigrati in America. Ogni anno il 19 di settembre si svolgono in molte città USA processioni per San Gennaro. Accade anche in Argentina, in Australia. La quarta, quinta generazione è ancora fortemente legata al Santo ed alle celebrazioni in suo onore”.
- Tornando al rapporto tra lo scalo e l’area di via Duomo, in che modo il Distretto Museale di via Duomo potrebbe collaborare con l’AdSP di Napoli?
“A mio parere dovremmo lavorare insieme, ed assieme studiare e definire il miglior modo per creare la connessione di cui parlavo prima. E’ essenziale che il porto si apra alla città e viceversa.”