Claudio De Vincenti: in Europa manca la consapevolezza della nuova centralità del Mediterraneo
Per il Sud “task-forces tecniche tra Agenzia della Coesione territoriale e singole Regioni per realizzare le opere”
di Emilia Leonetti
Claudio De Vincenti è stato Ministro per il Mezzogiorno e per la Coesione Territoriali. E’ soprattutto un profondo conoscitore delle questioni che rallentano il Sud e che impediscono di recuperare il gap infrastrutturale rispetto al Nord. In quest’ intervista ha esaminato diversi temi, dalla politica industriale per il Mezzogiorno, alle ZES, ai Fondi europei, ribadendo i limiti del Governo Nazionale, ma anche di quelli locali, non solo nell’utilizzo dei fondi ma anche nella capacità di proporre politiche innovative in grado di dare concretezza a scelte e strumenti.
- Partiamo dalla sua esperienza di Ministro per la Coesione Territoriale e il Mezzogiorno: le questioni principali, su cui vorrei si soffermasse, sono la politica industriale per il rilancio delle aree meridionali, il ruolo dell’Europa, la scelta di puntare sulle ZES come strumento di rilancio dell’economia delle regioni meridionali. Per tutte e tre le questioni si registrano carenze, ritardi, assenza di una strategia efficace. Cosa ne pensa? Perché manca una politica industriale per il Sud, perché l’Europa non si dota di una strategia euro-mediterranea, perché le ZES qui non decollano?
“In realtà, una politica industriale per il Sud era stata impostata nella Legislatura precedente e considero positivo che l’attuale Governo, nella Legge di bilancio appena approvata, abbia ripreso alcuni dei provvedimenti che erano stati allora adottati, per esempio rifinanziando per il 2020 il Credito d’imposta per investimenti al Sud e dando mandato a Invitalia di ricostituire il Fondo per la crescita dimensionale delle imprese meridionali. Bisogna ora andare oltre, rendendo strutturale il Credito d’imposta, implementando il Fondo, rifinanziando i Contratti di sviluppo che svolgono una funzione essenziale nel rilanciare imprese in crisi. Ma è politica industriale anche lo sblocco, ormai urgente, degli investimenti pubblici in infrastrutture e ambiente sia con fondi nazionali sia utilizzando appieno e bene i fondi europei. A questo riguardo, bisogna riconoscere che l’Unione Europea da tempo impegna una quota rilevantissima del suo bilancio sulle politiche di coesione: può fare di meglio, specie in materia di semplificazione delle procedure, ma sta a noi saper utilizzare i fondi che l’Unione mette a disposizione. Manca invece ancora a livello europeo la consapevolezza della nuova centralità del Mediterraneo nella riconfigurazione in corso dei rapporti economici internazionali: raddoppio del Canale di Suez, Nuova Via della Seta, prospettive dell’Africa, fanno del Mediterraneo uno snodo essenziale per una politica europea che si misuri con le sfide della globalizzazione. L’Italia deve battersi per costruire questa consapevolezza in Europa: è una grande occasione per il Mezzogiorno. Le Zone Economiche Speciali svolgono un ruolo proprio in questa nuova strategia, attrezzando il Meridione a essere protagonista di questa trasformazione con un grande investimento sulla logistica intorno ai porti meridionali. Ma qui c’è bisogno di una svolta: si sta procedendo a rilento, con una carenza di spinta politica che non consente di superare i mille ostacoli amministrativi. Si pensi per esempio al dibattito surreale tra amministrazioni centrali sulla natura automatica o meno del Credito d’imposta per le Zes, dibattito che per fortuna sembra si sia risolto finalmente nel settembre scorso (perdendo così più di un anno di tempo) con la decisione che il Credito è automatico (come doveva essere dato per scontato fin dall’inizio in base alla norma primaria, che era di per sé chiarissima).”
- Sulle ZES in particolare, di recente, ha affermato che servirebbe un Commissario Unico Nazionale e sulla “semplificazione amministrativa” ha precisato che la norma non funziona perché non ha natura vincolante. Ritiene che queste due decisioni potrebbero favorire l’avvio delle ZES? Perché queste scelte non sono state compiute sin dal primo momento?
“Se oggi abbiamo bisogno di chiarire questi punti è perché, dopo l’istituzione nell’aprile 2018 delle prime due ZES (Campania e Calabria), il processo ha ristagnato. La Legge di bilancio ha previsto l’istituzione di un Commissario governativo per ognuna delle ZES: è una soluzione che mi lascia perplesso perché rischia di creare una diarchia di poteri con il Presidente dell’autorità portuale o, peggio, di essere oggetto di trattativa con il Presidente di Regione, col risultato di bloccare invece che di accelerare i processi. Meglio sarebbe un Commissario unico a livello nazionale che abbia il compito di definire le semplificazioni di competenza nazionale (il punto più importante per rendere le ZES attrattive) e di sollecitare l’azione dei Comitati d’indirizzo per le ZES già istituite, nonché stare col fiato sul collo delle Regioni in ritardo affinché costituiscano le loro ZES e lo facciano varando un Piano strategico degno di questo nome. L’esempio positivo al riguardo viene proprio dalla Zona economica speciale disegnata da Regione Campania e Autorità portuale secondo una strategia in cui porti e interporti regionali costituiranno una rete integrata di logistica al servizio dello sviluppo delle attività produttive di tutto il territorio regionale. Sulle semplificazioni, il problema non è dimezzare tempi procedurali che sono non cogenti, perché tali saranno anche i tempi “dimezzati”: si devono piuttosto fissare tempi ristretti espliciti per ognuna delle procedure, accompagnandoli con il principio del “silenzio – assenso” delle amministrazioni, unico modo per renderli realmente cogenti.”
- Il Mezzogiorno è in recessione, l’aumento del PIL previsto per l’anno in corso è dello 0,2% contro lo 0,6% del Centro Nord, il gap occupazionale è aumentato negli ultimi dieci anni del 21,6%. Per recuperare la distanza dovremmo creare 3 milioni di nuovi posti di lavoro. La Svimez propone, come via d’uscita, la destinazione del 34% degli investimenti nazionali nel Mezzogiorno e in particolare nella “green economy”. Cosa ne pensa? Quali politiche di sviluppo, a suo parere, il Governo dovrebbe pianificare per ridurre il gap tra Nord e Sud del Paese?
“Il 34% degli investimenti ordinari è una norma che abbiamo introdotto a fine legislatura precedente e che è finalmente ora di applicare perché essenziale per far sì che i fondi di coesione nazionali ed europei siano realmente aggiuntivi e non sostitutivi dei finanziamenti ordinari. Il tema principale però è quello della capacità delle amministrazioni pubbliche di tradurre gli stanziamenti – che comunque ci sono e sono molto consistenti – in spesa effettiva. Naturalmente il punto chiave è rimuovere i fattori di blocco che impediscono di trasformare gli stanziamenti in spesa, a partire dalla farraginosità delle procedure autorizzative, dalle sovrapposizioni di competenze, dai poteri di veto regionali e locali, dal ricorso facile ai contenziosi, ecc. E’ un lavoro di disboscamento e razionalizzazione da intraprendere subito, ma che sconta inevitabilmente tempi lunghi. Nel frattempo si può e si deve lavorare su due piani di azione principali: per sbloccare la realizzazione di grandi infrastrutture di interesse nazionale può rivelarsi decisivo il ricorso a strutture pubbliche esterne alla PA, dotate di forte competenza tecnica e tenute a rendere conto al Governo del proprio operato. Si tenga presente che esiste da tempo una norma, non ancora applicata, che prevede la costituzione presso CDP del Fondo italiano di sviluppo, che potrebbe costituire proprio l’organismo indicato. Per le infrastrutture di ambito locale e regionale, si può trarre ispirazione da quanto fatto a suo tempo nel biennio 2014-15 per l’accelerazione della spesa dei Fondi europei allora in scadenza, con task-forces tecniche tra Agenzia della Coesione territoriale e singole Regioni per sciogliere i nodi programmatori e amministrativi che stavano bloccando le opere.“
- Veniamo alla sua associazione e al manifesto per un nuovo Sud “Cambia, cresce, merita”. Cosa si prefigge di raggiungere, con quali forze, con quali azioni?
“Il messaggio del Manifesto è quello di una società civile meridionale che, consapevole dei problemi e delle difficoltà che segnano il Mezzogiorno d’Italia, conosce però anche le sue energie positive, la voglia di prendere in mano il proprio futuro per rendere il Sud protagonista della rinascita economica, sociale, morale di tutto il nostro Paese. Perché l’Italia ha bisogno dell’interazione tra tutte le forze costruttive, del Nord e del Sud. L’obiettivo di fondo dell’Associazione Merita – Meridione Italia è quello di contribuire con le nostre attività ad aiutare tutte le energie positive del Mezzogiorno a fare rete, scambiare idee ed esperienze, crescere insieme, interagire con le forze costruttive del Centro-Nord. Nella consapevolezza che la rinascita del Sud passa per investimenti, lavoro e buona amministrazione, il contrario dell’assistenzialismo. Investimenti pubblici in infrastrutture, ambiente, scuola e cultura. Investimenti privati in innovazione e imprenditorialità. Lavoro manuale e intellettuale per dare sbocco all’impegno e alle capacità di ragazze e ragazzi meridionali. Amministrazione pubblica che dia spazio e fiato alle energie vive del Mezzogiorno, invece che fare loro da ostacolo.”
- Come Ministro ha presieduto la Cabina di Regia per il risanamento e la rigenerazione urbana di Bagnoli. E’ un tema importante per la città e anche per lo sviluppo della linea di costa. Anche questa è un’altra delle questioni irrisolte. Qual è l’idea che si è fatto nel periodo in cui ha guidato la Cabina di Regia? Quali sono i nodi istituzionali e non che impediscono di avviare “il risanamento e la rigenerazione urbana di Bagnoli”?
“Vi sono difficoltà oggettive di cui è bene essere tutti consapevoli: una grande area industriale dismessa, con problemi di inquinamento giganteschi, che ha lasciato un vuoto occupazionale, sociale, ambientale, nel cuore di Napoli, richiede una strategia di rigenerazione urbana complessa per la quale non esistono bacchette magiche preconfezionate. Questo non giustifica però i venticinque anni di sostanziale inazione, anzi deve sollecitare alla massima determinazione e costanza di impegno. Ciò detto, i nodi fondamentali che abbiamo affrontato quando presiedevo la Cabina di regia sono stati prima di tutto di tipo strategico, di tipo amministrativo, di tipo operativo. Sul primo versante abbiamo costruito, in un rapporto non semplice ma fecondo con Regione e Comune, il Piano di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana (PRARU) che costituisce il punto di riferimento essenziale per dare un futuro nuovo a Bagnoli come area propulsiva di attività e di servizi per la città. Sul secondo versante abbiamo sciolto una serie di questioni amministrative – avviando anche la procedura per il dissequestro giudiziario dell’area, ormai finalmente conclusa – senza le quali ogni intervento era bloccato in partenza. Sul versante operativo infine, abbiamo realizzato la caratterizzazione di tutta l’area, che è stato il primo passo per avviare, come si sta facendo in questi giorni, gli interventi di bonifica (di cui peraltro avevamo anticipato quelli più immediati su ripascimento dell’arenile, rimozione dell’amianto, messa in sicurezza delle strutture). Ora si vada avanti senza esitazioni su questa strada, con metodo e costanza.”
- Cosa ne pensa, sempre a proposito di Bagnoli, delle 36 candidature di 160 studi di architettura italiani e europei che hanno presentato le loro “idee”, rispondendo al bando predisposto da Invitalia sul ridisegno dell’area?
“Il concorso di idee lanciato da Invitalia è la prosecuzione operativa del PRARU che noi avevamo elaborato: è un passo avanti decisivo e sono felice che tanti studi di architettura italiani ed europei stiano partecipando. La rigenerazione di Bagnoli può diventare così una operazione di riferimento a livello internazionale.”