Le Stazioni Marittime ai tempi del Coronavirus
Le proposte per rivedere l’uso della Stazione Marittima di Napoli
di Tomaso Cognolato*
Il 2020 verrà ricordato come l’anno della Pandemia e, sembra assurdo, dei social. Era dai tempi della Seconda guerra mondiale che non si assisteva ad un momento di crisi e di fermo totale di ogni attività a livello mondiale, come sta succedendo oggi. Ed è la prima volta che i social hanno assunto un ruolo da veri “protagonisti”, nel bene e nel male, della nostra vita quotidiana: sono diventati strumento di informazione vera e “fake”, e sono strumento indispensabile di riduzione del cosiddetto distanziamento sociale, diventato ormai regola comune di sopravvivenza.
Tutto sembra congelato e immobile, ma purtroppo non è così. In realtà il settore del turismo in generale è più che fermo, ed il settore delle crociere rischia di fare passi indietro rispetto a quelli fatti in costante progressione degli ultimi anni. Nell’ultimo decennio, infatti, il mercato delle crociere è stato uno dei pochi, se non forse l’unico, a crescere con costanza anno dopo anno, ed il Mediterraneo Occidentale ha visto una crescita senza precedenti.
Le previsioni di pochi mesi fa per il 2020, vedevano il superamento dei 13 milioni di passeggeri per il mercato Italia, numeri che ora rasentano le poche migliaia conquistate ad inizio anno. È opportuno ricordare quanto sia importante il mercato delle crociere: l’impatto economico diretto delle compagnie di crociera sul mercato italiano è pari ad oltre 5mld€/anno e genera più di 120.000 posti di lavoro; i passeggeri e gli equipaggi spendono mediamente tra 50 ed i 100€ pro-capite in ogni porto toccato dalla nave. E a dare un’ulteriore conferma di quanto questo sia un mercato solido e forte, sono gli ordini di costruzione di nuove navi da crociera: oltre 100 nei prossimi sette anni per un valore totale che supera i 60mld$.
Un mercato del genere è quindi fondamentale per un Paese come il nostro, che è circondato dal mare, ed è tra le prime destinazioni turistiche d’Europa. In questo momento drammatico deve quindi essere fatto ogni sforzo per tutelare e sostenere questo mercato e perché possa ripartire al più presto e riprendere quel percorso di crescita che lo ha caratterizzato negli ultimi 10 anni. Vale per le compagnie armatoriali e vale per tutto il mondo che ruota intorno alle crociere: i terminal crocieristici, i tour operator che curano le escursioni, i fornitori delle navi e così via.
Ad oggi tutto è fermo e immobile. Le navi sostano per lo più in rada con i soli membri dell’equipaggio, ed aspettano. Sono forse la foto più rappresentativa di quella che è la realtà odierna che viviamo tutti noi: galleggiamo in attesa che qualcosa cambi e tutto torni come prima. Il vero problema è che, molto probabilmente, niente sarà più come prima. O, per lo meno, ci vorrà molto tempo perché torni ad esserlo. Se è difficile oggi fare previsioni che abbiano una minima attendibilità su quando ci sarà la ripresa delle attività lavorative e produttive a pieno regime del Paese, diventa, pressoché impossibile, farle per il settore delle crociere.
E’, infatti, un mercato, che risente di fattori transnazionali: le crociere in Mediterraneo toccano sempre più di un Paese, e quindi risentono delle diverse situazioni “emergenziali” che ciascuna destinazione ha in quel momento, e di una regolamentazione frammentata e diversa da Paese a Paese; ma anche di fattori emotivi ed emozionali del tutto personali. Se, a questo, aggiungiamo che nel nostro amato Paese dobbiamo confrontarci con un’ulteriore frammentazione e regolamentazione che cambia da regione a regione, da porto a porto anche all’interno della medesima Autorità di Sistema Portuale, appare ancora più evidente come la situazione sia particolarmente drammatica. Ed i terminal crocieristici sono quelli che soffrono maggiormente di questa situazione, rimanendo schiacciati tra la mancanza assoluta di ricavi, data dall’assenza di navi all’ormeggio, e la costanza di costi fissi da sostenere.
Quanto messo in piedi dal Governo, ad oggi, non sembra ancora sufficiente a sostenere questo particolare settore dell’industria. Sono stati ampliati gli ammortizzatori sociali, si stanno individuando strumenti per immettere liquidità nelle imprese, anche se al momento il processo sembra ancora abbastanza complesso, ma nulla è stato fatto per ridurre immediatamente i costi fissi verso l’amministrazione pubblica attraverso, ad esempio, il taglio dei canoni demaniali che riveste una quota rilevante dei costi dei terminal crocieristici. In un contesto del genere la strada è sicuramente in salita.
Ma come sempre, nei momenti tragici, vanno sempre trovate nuove opportunità. In quest’ottica vanno ripensati i modelli di business dei terminal, dotandoli di fonti di sostentamento, da integrative ad alternative a seconda dei contesti operativi, che consentano la continuità d’azienda anche in momenti critici. Va realizzata quella integrazione porto – città, spesso sulla bocca di molti e proclamata tra le intenzioni di molteplici amministratori, ma mai effettivamente voluta e perseguita. La situazione è, ovviamente, diversa da località a località: alcune hanno costruito intorno al proprio porto la struttura urbana e cittadina e vivono il porto come motore e cuore pulsante della città; altre lo “sopportano” in quanto generatore di posti di lavoro, ritenendolo a volte quasi più un fastidio che il vero motore del “pil” cittadino ed inducendo di riflesso in coloro che lavorano nel porto, a partire dalle istituzioni stesse, la tendenza a chiudere l’area e rendendola off-limits.
L’attuale crisi può e deve essere la leva che scardina questo retaggio del recente passato per aprire e rendere sinergiche le due realtà, per farle diventare un unicum che generi progresso e ricchezza condivisa. Alcune realtà, e Napoli è tra queste, si prestano più facilmente a questo cambio: la posizione, la struttura e la storia agevolano sicuramente questa evoluzione.
La Stazione Marittima di Napoli è sorta nel lontano 1936 proprio con questo duplice scopo: essere la quinta naturale di chiusura di Piazza Municipio e contraltare di Palazzo San Giacomo sede del Governo cittadino da un lato e, dall’altro, essere la porta di accesso a quello che all’epoca era l’Impero d’Oltremare. Era integrata perfettamente nell’ambiente e nell’arredo cittadino e ne era il cuore pulsante.
Oggi viviamo tempi diversi, ma le funzioni sono rimaste sostanzialmente le medesime: architettonicamente nulla è cambiato dall’epoca; l’Impero non esiste più, ma la Stazione Marittima rimane porta di accesso a Napoli per oltre 1,5 milioni di persone all’anno.
Rivedere l’utilizzo della Stazione Marittima, e dei terminal più in generale, lavorando sull’integrazione con la città, consentirà di non dover dipendere in maniera esclusiva dall’arrivo delle navi per poter garantire una continuità aziendale. Restituire un edificio moderno o un monumento storico alla fruibilità di tutti i cittadini, ha il duplice vantaggio di garantire lavoro e “pil” cittadino, e di aumentare gli spazi di valore, situati il più delle volte in posizioni di rilievo, disponibili per la città.
Snellire le procedure per dare la possibilità ai concessionari dei Terminal di integrare attività commerciali, culturali, di intrattenimento, può essere lo strumento per rigenerare l’attività ed evitare la chiusura di diverse imprese. Le attività collaterali infatti, coinvolgendo principalmente e direttamente gli abitanti, sono svincolate dalla ripresa di un mercato così complesso come quello crocieristico, o, comunque, anche in presenza di stop forzati come quelli odierni, sono caratterizzate da tempi di ripresa decisamente più veloci.
Non bisogna quindi “galleggiare” in attesa che cambi qualcosa, ma bisogna affrontare il momento di crisi utilizzando il cosiddetto “pensiero divergente”, auspicando che anche il sistema di governo pubblico comprenda appieno la situazione e si adoperi per supportare gli sforzi privati.
*Amministratore Delegato Terminal Napoli SpA