Federica Brancaccio, Presidente ACEN: manca una politica industriale di ampio respiro
“Eppure significherebbe riavviare una crescita organica e più generale dell’Italia”
di Emilia Leonetti
L’incontro con la prima donna Presidente dell’Associazione Costruttori Edili Napoli e provincia, è avvenuto in un primo pomeriggio di fine novembre nella sede di Piazza dei Martiri. Intorno al tavolo i più stretti collaboratori di Federica Brancaccio, il suo Capo Ufficio Stampa Marco Ferra, Barbara Rubertelli, Federica Russillo e il Direttore Diego Vivarelli. L’attesa per questo appuntamento, dovuta agli innumerevoli impegni del Presidente tra Napoli e Roma, è stata ripagata dall’impegno con cui Federica Brancaccio ha risposto alle domande e alla disponibilità con cui si è svolta la nostra conversazione. L’intervista ha soprattutto messo in evidenza un tratto del suo carattere: la volontà di confrontarsi, di condividere con i collaboratori ma anche con gli interlocutori le questioni di cui si deve occupare.
- Presidente partiamo dai dati della SVIMEZ presentati poche settimane fa: il Mezzogiorno è in recessione, il PIL previsto per il prossimo anno sarà dello 0,2% contro lo 0,6% del Centro Nord, il gap occupazionale è aumentato negli ultimi dieci anni del 21,6%. Per recuperare la distanza dovremmo creare 3 milioni di nuovi posti di lavoro. La Svimez propone, come via d’uscita, la destinazione del 34% degli investimenti nazionali nel Mezzogiorno e in particolare nella “green economy”. Cosa ne pensa? Qual è la posizione dell’ACEN in merito alle politiche di sviluppo che il Governo dovrebbe pianificare per ridurre il gap tra Nord e Sud del Paese?
“Prima di affrontare il tema nello specifico, mi faccia fare una premessa che riguarda il nostro territorio in senso stretto. Il comparto delle costruzioni offre un contributo rilevante al sistema economico regionale, più di quanto accada a livello medio nazionale. In termini di investimenti, infatti, rappresenta l’ 8,7% del PIL. Ma, a fronte di un comparto che coinvolge 85 settori economici su 100 sull’intero territorio nazionale, con il 98% di investimenti che impatta sul territorio, registriamo – purtroppo da anni – l’assenza di una politica industriale di ampio respiro, in grado di dare risposte concrete ai molteplici e perduranti aspetti della crisi. Sono molte le azioni e le traiettorie lungo le quali riannodare le politiche di crescita per il Mezzogiorno, che – come molti studi certificano – significherebbe riavviare una crescita organica e più generale del Paese.
La crisi dell’edilizia mette in evidenza una serie di incongruenze, soprattutto dal punto di vista normativo; tutti i governi che si sono succeduti, nel decennio della crisi, hanno posto in essere politiche diverse che hanno avuto effetti devastanti: 650mila lavoratori in meno e 120mila imprese hanno chiuso i battenti nel settore delle costruzioni. Ad oggi il dato potrebbe essere ancora più grave: continuiamo a fare i conti, ad esempio, con la riduzione degli investimenti, ovvero 12 miliardi in meno per le infrastrutture nel Sud. E l’aumento del gap infrastrutturale – difficoltà nei trasporti e nella logistica, digital divide – che si riverbera su tutti i settori, accentuando una diseconomia generale nel mondo produttivo che sembra essere una connotazione costante del Sud.
Urge quindi un cambio di passo, una diversa prospettiva, con un’attenzione ancora più marcata all’ambiente e alle infrastrutture. In questo senso, il rispetto della clausola del 34% potrebbe essere una prima risposta per l’infrastrutturazione delle nostre regioni e la ripresa economica. Oggi, infatti, il Mezzogiorno è beneficiario sostanzialmente dei fondi europei destinati alle “regioni meno sviluppate”; tali risorse sempre più spesso, anziché essere integrative di quelle nazionali, sono sostitutive, con il risultato di non colmare mai la differenza.
E nel merito della “clausola del 34%” per le risorse “ordinarie” in conto capitale previste dal decreto “Mezzogiorno” del 2017, andrebbe innanzitutto verificato che ciò sia sistematicamente rispettato. Inoltre, questa norma di riequilibrio territoriale, che si rivolge esclusivamente alle Amministrazioni centrali dello Stato, dovrebbe valere a maggior ragione per il settore pubblico allargato, dove si registrano differenze territoriali a svantaggio del Sud molto marcate.”
- E’ anche di questi giorni la presentazione di un’analisi della Bocconi che evidenzia la perdita di peso dal 1993 ad oggi dell’industria che si è sostanziata nella perdita di 700 mila posti di lavoro. Eppure l’industria è stata uno dei principali fattori di modernizzazione del Paese. Le faccio questa osservazione perché Napoli, la sua area industriale, ultimo caso la Whirlpool, rientra a pieno titolo in questa politica di desertificazione industriale. In che modo, con quali programmi, proposte, la sua associazione intende intervenire nel dibattito pubblico?
“Purtroppo la ricerca certifica dati ed effetti di una crisi epocale. Abbiamo assistito, dal 2008 ad oggi, alla trasformazione del mondo industriale, alla riorganizzazione dei processi produttivi e al progressivo impoverimento della classe media. Unitamente a questo, tutti i settori produttivi, in particolare nel Mezzogiorno, sono stati messi alla prova e tutti siamo stati costretti a riorganizzarci, per reggere l’urto della crisi e garantire, ove possibile, i livelli occupazionali. Naturalmente, come sistema, non potevamo resistere, soprattutto in un Paese con una burocrazia asfissiante, una giungla normativa e una storica, oltreché strutturale differenza tra le due aree del Paese. A questo, si aggiunga il problema demografico che colpisce e colpirà, in prospettiva, le nostre regioni meridionali, con un drastico invecchiamento ed una forte riduzione della popolazione.
Quindi, senz’altro vi è la necessità di un riequilibro tra Nord e Sud del Paese e la riforma sulle autonomia differenziata, se indirizzata in modo equo, potrebbe rappresentare l’architrave di un’architettura normativa non sperequativa per il Sud (al di là di tesi sbandierate da alcuni politici del Settentrione). In questo senso, il lavoro della conferenza Stato-Regioni e poi del Parlamento risulta determinante, a maggior ragione in questo momento storico.
Per rispondere alla sua domanda, però, devo anche ricordare i risultati dell’ultimo rapporto Ref, che ha evidenziato una diminuzione della dotazione del capitale pubblico per le infrastrutture negli ultimi dieci anni, pari a 70 miliardi. Dal 2011, insomma, in Italia abbiamo assistito a una diminuzione costante delle spesa per investimenti e, secondo i calcoli dello studio, per recuperare il terreno perduto e, dunque, ridurre il gap infrastrutturale bisognerebbe elevare la dotazione annuale fino a 57 miliardi l’anno, per i prossimi dieci anni. Per dirla in altri termini, non sono mancate solo le risorse per finire strade ed edifici pubblici, ma anche quelli per la manutenzione del nostro, fragile territorio. Come le notizie di cronaca purtroppo, sempre più spesso, ci ricordano. Inoltre, occorrerebbe sbloccare opere e fondi destinati alle infrastrutture e realizzare un’operazione anticlicica nazionale. La lista delle opere bloccate è ancora lunghissima: in totale 749 per 62 mld di euro, secondo il monitoraggio realizzato dall’Ance. E’ un’assoluta priorità per il Paese, così com’è urgente mettere mano a un processo per snellire le procedure amministrative e ridurre il peso della burocrazia.”
- Veniamo al ruolo che l’ACEN può svolgere a Napoli per lo sviluppo dell’area di Bagnoli e di Napoli Est, due realtà sulle quali da decenni si parla senza che si intravvedano all’orizzonte soluzioni nel medio periodo. Cosa pensate di fare?
“L’Acen fa parte della Consulta delle Costruzioni di Napoli. La Consulta delle Costruzioni è composta da 25 organizzazioni imprenditoriali, professionali, sindacali e della proprietà edilizia, e ha deciso di lavorare insieme sul tema di Bagnoli.
Tale volontà nasce dalla comune convinzione che il settore, pur continuando a svolgere un ruolo trainante per il sistema produttivo metropolitano di Napoli, potrebbe attivare ulteriori rilevanti investimenti pubblici e privati utili allo sviluppo economico e sociale, con un impegno adeguato e dinamico nella fase di programmazione degli interventi, della loro progettazione e con una più efficace capacità di spesa pubblica e di attivazione delle risorse private.
In tal senso, nella più ampia autonomia d’iniziativa nelle rispettive funzioni istituzionali, riteniamo utile promuovere insieme occasioni di confronto per delineare azioni comuni, per sollecitare la soluzione delle problematiche attinenti al comparto e la più vasta promozione del suo sviluppo.
Nello specifico, abbiamo incontrato Francesco Floro Flores, il Commissario Straordinario di Governo Bagnoli-Coroglio, e gli abbiamo indicato le nostre priorità. In particolare: la verifica di sostenibilità economico-finanziaria alla base delle scelte urbanistiche; la realizzazione ad horas di interventi in aree che non necessitano di bonifica e che hanno già la destinazione urbanistica; anche perché immaginiamo che questi primi interventi, possano indurre altri imprenditori a scommettere sulla nuova Bagnoli. Inoltre, non si può prescindere dal patrimonio progettuale esistente sull’area, in parte ancora conforme agli strumenti di pianificazione: i progetti di recupero e rifunzionalizzazione dei manufatti di archeologia industriale, per fare un esempio.
In questa fase, quindi, riteniamo utile individuare traiettorie di sviluppo complessivo per l’area anche a seguito di un eventuale piano di marketing territoriale che contemperi risposte “di sistema” su tre aspetti fondamentali: le destinazioni urbanistiche, le quantità volumetriche e la sostenibilità economico-finanziaria.
Chiediamo – nell’interesse della collettività e del positivo esito da raggiungere – di sospendere il bando per il concorso di idee, allo stato prorogato al 7 gennaio 2020, ma di utilizzare i prossimi 6 mesi per una rigorosa verifica economico finanziaria delle migliori scelte per Bagnoli e per l’Area Occidentale.
Occorre, inoltre, immaginare lo sviluppo di Bagnoli in una logica di area metropolitana, con particolare attenzione a quanto si sta delineando per i Campi Flegrei e per la baia di Pozzuoli, anche nell’ambito del realizzando Piano Paesaggistico regionale. Le stesse proposte sono state inviate anche al ministro per il Sud e la Coesione territoriale e Presidente della “Cabina di Regia per l’area di Bagnoli-Coroglio”, Vincenzo Provenzano.”
- Una delle realtà strettamente connesse alla città è quella portuale, in particolare il suo waterfront. In quest’area insistono edifici storici come gli ex Magazzini Generali, moli antichi come il molo San Vincenzo. Per il primo si discute della realizzazione di un Museo, sul secondo della graduale restituzione alla città. Qual è la posizione dell’ACEN? In che modo ritiene possa svolgere un ruolo attivo?
“Con l’agognata definizione di Piano Territoriale Metropolitano e la proposta di Piano Strategico per la ZES Campania due ulteriori strumenti di pianificazione si aggiungono a quelli già esistenti, amplificando però il problema della sovrapposizione di regole, vincoli, prescrizioni e normative di difficile armonizzazione.
Senza considerare l’impossibilità di dar corso ad interventi organici in aree oggetto di strumenti di pianificazione non ancora adottati. Basti pensare, oltre al Piano Regolatore generale di Napoli da aggiornare e trasformare in un Piano Urbanistico Comunale, ai Piani del Porto di Napoli e di quello di Castellammare in corso di rivisitazione o definizione, a quello di recente adozione del Porto di Salerno; al Piano aeroportuale di Capodichino o al Programma di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana (PRARU) di Bagnoli, fino ad arrivare ai Regolamenti edilizi ed energetici da aggiornare, alle Zone rosse e gialle dei Piani per il rischio Vesuvio e per i Campi Flegrei.
Un coacervo di livelli di pianificazione di differente concezione, temporalmente disomogenei, promossi da Enti differenti con specifiche diverse, tarati su obiettivi ed esigenze specifiche che, dalla scala nazionale a quella locale, più che indirizzarle o renderle attuabili, trasformano iniziative pubbliche e private in iter incerti e difficili da portare a termine, relegando – inoltre – i progetti alla carta, determinando di fatto, nel tempo, interventi già obsoleti o comunque non rispondenti ad una politica urbanistica omogenea.
Si pensi alla stagione della portualità turistica, con i progetti di Bagnoli, Porto fiorito, Molo San Vincenzo, del Waterfront di Napoli o di Pozzuoli. A quella che dal dopoguerra ha visto proliferare i Piani per gli insediamenti produttivi (PIP) e quelli per le Aree di sviluppo industriale (ASI) del Mezzogiorno. A quella poco approfondita dei contratti di costa per la gestione integrata e la valorizzazione delle aree costiere, fino ad arrivare al recente Masterplan del litorale Domizio-flegreo.
La chiave diventa, quindi, quella di coniugare molteplici questioni, quelle energetiche e legate al rischio sismico o idrogeologico con quelle amministrative, quelle di tutela ambientale, paesaggistica, storico-architettonica, e infine di sviluppo industriale ed economico, con l’obiettivo più generale di rendere l’Italia, ma soprattutto il Mezzogiorno, nuovamente protagonista sul mercato internazionale, in termini culturali, economici, industriali.
L’importante è fare. Riqualificare i beni, riutilizzarli, e non sottoutilizzarli, spendere i fondi a disposizione, avere una continuità amministrative, aprire i cantieri e non riprogettare sempre senza attuare, aprire alcune aree alla città e ai giovani.”
- Uno dei compiti dell’ACEN è partecipare a programmi di pianificazione territoriale e per la tutela ambientale, per l’attuazione dei programma di spesa nel campo della infrastrutture, del recupero della qualificazione urbana e da ultimo dell’edilizia residenziale. Alcune di queste attività riguardano anche lo scalo partenopeo. Mi riferisco in particolare al tema delle infrastrutture e a quello ambientale. Il tema del potenziamento infrastrutturale materiale e immateriale dei porti dell’AdSP del Mar Tirreno Centrale è alla vostra attenzione? In che modo?
“Il porto di Napoli rappresenta una realtà talmente significativa per la città metropolitana di Napoli da connotare l’identità dell’intero territorio. Oltre alla portata aziendale, in termini dimensionali, di fatturato e occupazione, il porto rappresenta una risorsa enorme per la città e ha una portata identitaria elevatissima per chi vi risiede. Partendo da questa considerazione, il potenziamento infrastrutturale si rende necessario per renderlo più competitivo rispetto ai “competitor” nazionali, considerato che stando alla classifica di Assoporti, quello di Napoli non è sul podio quanto a movimentazione merci, nonostante la sua posizione unica e privilegiata sul Mediterraneo. Segno dunque che occorre implementazione di strutture e servizi.
Ciò vale anche per il settore della crocieristica, dove Napoli è divenuto uno scalo sempre più in ascesa per quanto riguarda il numero di passeggeri, il terzo dopo Civitavecchia e dopo Venezia.
Sul traffico dei passeggeri la nota dolente, nonostante gli incrementi più o meno costanti di passeggeri degli ultimi anni, resta quello dell’accoglienza a terra e dei servizi di sicurezza e di supporto ai turisti, ancora non soddisfacente e competitivo.
Con queste premesse, mi fa piacere evidenziare l’interesse degli imprenditori edili, che guardano al Porto anche come committente di opere e interventi significative per la città e per l’economia nel suo insieme.
In tal senso, l’Autorità Portuale, riformata anche amministrativamente dalla legge di ottimizzazione degli scali portuali del Paese, sta vivendo una nuova stagione di produttività e progettualità. Ad essa si deve sicuramente la nuova linfa, che sta irrorando la fattività di iniziative vecchie e nuove, volte sia al potenziamento della infrastruttura sia alla valorizzazione dell’integrazione città-porto, che fisicamente è un unicum indiscutibile.
Come cittadini partenopei, oltre che come imprenditori, abbiamo quindi grandi aspettative non solo per i lavori della Darsena di Levante, ma anche riguardo all’attuazione del Progetto del Waterfront – area monumentale di Napoli. Personalmente credo molto nell’intuizione di Michel Euvé che intendeva trasformare il confine portuale in una grande risorsa per la città. Immagino, infatti, l’area del porto come un grande spazio fruibile h 24, con servizi, infrastrutture e attività che lo rendano vivo e attrattivo per tutti, non solo per i turisti.
Un’altra grande opportunità per il porto, sulla quale gli operatori economici confidano molto, è rappresentata dall’insediamento di una Zona Economica Speciale di ampia portata, che ha il suo perno proprio nel Porto di Napoli. La ZES, se attuata sapientemente, potrà generare grandi impatti economici per tutta la Campania.
Penso possa addirittura rappresentare un efficace strumento di politica economica, una risposta alla deindustrializzazione del Mezzogiorno. Chiudo ricordando che i casi di successo di ZES in altre parti d’Europa e del mondo testimoniano quanto sia importante la sburocratizzazione nell’ambito della stessa ZES. Quanto più sarà spinta l’azione di semplificazione tanto più sarà efficace lo strumento.”
- Presidente Brancaccio, l’ultima domanda la vorrei riservare alle novità legate alla scelta di una donna alla guida di una tra le principali associazioni cittadine. Penso alle capacità organizzative, propositive, alla concretezza che spesso contraddistinguono l’agire femminile. In che modo sta innovando nel modo di essere e di agire della sua associazione nei confronti della città e delle sue Istituzioni, tra cui annovero anche l’Autorità di Sistema portuale del Mar Tirreno Centrale?
“E’ una domanda che dovrebbe essere rivolta ad altri. E’ difficile rispondere su se stessi. Posso dire che ricordo molti Presidenti dell’ACEN e ognuno ha trasmesso, nella guida dell’associazione, qualcosa di personale e di particolare. Non so dire se il modo in cui lavoro è legato al genere o se, come ritengo, dipenda semplicemente dal fatto che sono un’altra persona. Non c’è stata, per rispondere alla sua domanda, un’impostazione di conduzione dell’ACEN fatta a tavolino e indirizzata a segnare una differenza con la precedente. Posso, però, sottolineare che sono una persona operativa e che questo è un tratto del mio carattere. Devo aggiungere che mi preme conoscere le persone con cui lavoro e questo vale in azienda come in associazione. Ho anche cercato di rinsaldare i rapporti con le Istituzioni locali, con le forze produttive della città, con gli ordini professionali, con le Università. E devo riconoscere che questo è un momento favorevole perché c’è da parte di tutti la volontà di confrontarsi.”