Quattro domande a…
Angelo Curti: ripensare la relazione tra porto e città secondo una linea verticale e una orizzontale
Il ruolo del Teatro Mercadante, lo spazio della Stazione Marittima, l’esempio di Liverpool
di Emilia Leonetti
L’incontro con Angelo Curti riserva, sempre, positive sorprese. Non solo grazie alla sua lunga esperienza nel settore della produzione teatrale e cinematografica, ma anche grazie ad un’intelligenza profonda, capace di guardare nelle pieghe degli avvenimenti, per tirare fuori una sua personale e giammai scontata opinione, per offrire una proposta in grado di arricchire la discussione e di indicare una possibile soluzione. L’appuntamento era stato fissato nella sede di “Teatri Uniti”, a via Domenico Morelli. I fatti accaduti a partire dalla fine del mese di febbraio ci hanno impedito di vederci, e così la nostra conversazione è avvenuta per telefono. Angelo Curti è Presidente della Cooperativa “Teatri Uniti” che – con sapienza ed equilibrio – guida da diversi anni. A questo proposito, mi è rimasta impressa una frase pronunciata da Angelo Curti una volta: “La nostra forza è dovuta alla nostra capacità di essere sempre aperti. Chi va via può sempre tornare.”
- Teatri Uniti, la cooperativa di produzione di spettacoli teatrali e anche cinematografici, è una delle principali realtà nazionali, anche se è nata ed ha la sua sede operativa a Napoli. In quasi 33 anni di vita quale ruolo ha avuto il porto di Napoli nella vostra produzione e nella vostra riflessione sulla città?
“Abbiamo conosciuto il porto quando delle barriere fisiche ormai da tempo cadute impedivano l’accesso e la migliore visibilità del suo spazio. Oggi mi sento di affermare che il rapporto con il porto è assimilabile al rapporto che la città ha con il mare, ovvero come con un confine aperto, l’allargamento di un orizzonte che credo abbia anche una funzione psicologica. Le persone che non vivono in città portuali percepiscono il mare come una sorprendente opportunità di apertura, mentre per noi napoletani è un dato quasi scontato, così come ci sembra scontato veder splendere quasi ogni giorno il sole.
Tanto, citando un nostro poeta, “il mare sta sempre là” e il sole splende. Ciò procura nel carattere, nello stato d’animo dei napoletani una certa tendenza al non fare oggi quello che si può fare da domani.
Venendo alla sua domanda, sicuramente ci sono stati vari momenti in cui abbiamo utilizzato il porto come ambientazione per i nostri lavori. Ad esempio, nell’estate del 1991, quando girammo “Morte di un matematico napoletano”. Le sequenze iniziali, in sceneggiatura alla Stazione Termini di Roma nel 1959, vennero magnificamente e credibilmente ambientate negli spazi della Stazione Marittima, dove girammo anche una suggestiva sequenza onirica poi espunta nel montaggio definitivo del film. La Stazione Marittima ha sempre suscitato in me grande fascino e attrazione. Se un giorno inventeranno un mezzo di trasporto che sostituirà gli aeroplani, i grandi hub aeroportuali diventeranno come è oggi la Stazione Marittima del porto di Napoli, con i suoi grandi spazi ora architettonicamente sovradimensionati ma che in passato videro l’affollamento frenetico dei viaggiatori transatlantici, oggi solo parzialmente sostituiti dal popolo dei crocieristi. Un altro importante momento di relazione con l’area del porto avvenne nell’ottobre 2007, in occasione del Prologo al Teatro Festival Italia di cui siamo stati co-ideatori, con l’approntamento di una vera e propria Cittadella del Teatro e l’accoglienza su una nave di vari artisti internazionali fra i quali un centinaio di musicisti e incantatori di serpenti indiani. Ahimè quell’esperienza non ebbe poi ulteriore seguito per il cambiamento di direzione del Festival”
- Da napoletano come vive il porto? Che relazione ha con questa realtà vitale per una città di mare?
“Al di là del vedere quotidianamente le grandi navi che trasmettono un senso di attività e di vita, amo molto spostarmi, se è possibile, via mare. Quando per le nostre tournée teatrali dobbiamo raggiungere la Sicilia cerco di prendere la nave notturna per Palermo o per Catania. Anche per avere la possibilità, arrivando la mattina presto, di fare un’apprezzata colazione con i deliziosi dolci siciliani, che per fortuna si possono trovare freschi di sbarco anche nella zona del porto di Napoli. Il viaggio in nave è anche un modo per scoprire una diversa dimensione del tempo e per riflettere. Penso, inoltre, che il porto sia importante per noi napoletani perché ci proietta verso le nostre isole. Io sono legato soprattutto a Procida, ma naturalmente Ischia e Capri sono luoghi che appartengono alla nostra vita ed al nostro immaginario. Devo però ammettere che, vivendo nella zona occidentale della città, prendo più spesso il traghetto per Procida dal porto di Pozzuoli. Credo che avere degli speciali pezzetti di terra, come le nostre isole, così vicini ma raggiungibili solo per mare crei una relazione intensa e particolare con il concetto di spostamento”.
- In che modo, a suo parere, il porto potrebbe divenire luogo di scambi culturali, oltre che di merci, per i concittadini e per i turisti?
“Bisognerebbe intervenire sulle infrastrutture. Non solo. Gli ex Magazzini Generali sono per esempio uno degli edifici di cui si parla da oltre vent’anni come spazio da trasformare in luogo dell’accoglienza e del tempo libero. Addirittura se ne discusse come luogo da destinare allo spettacolo, con la realizzazione di una multisala cinematografica. Per me sarebbe una strada ancora da perseguire. Io poi ho una mia idea collegata al teatro, e che provo a rilanciare: il Teatro Stabile di Napoli utilizza due sale principali, il Mercadante e il San Ferdinando, ma entrambe hanno circa cinquecento posti. Non possono garantire, dunque, la presenza di un pubblico più numeroso con relativi incassi. Considerando che il Teatro Mercadante è proprio dirimpetto al porto, spesso dico, senza scherzare troppo, che il Teatro Stabile dovrebbe lasciare la sua sede del Mercadante e recuperare alla fruizione continuativa della città il Teatro Politeama, che ha maggiore capienza di posti. In tal modo il Mercadante diventerebbe il palcoscenico ideale per l’accoglienza dei numerosissimi turisti che arrivano sulle navi da crociera, diversificando l’offerta teatrale e rivitalizzando ulteriormente l’area portuale. Si potrebbe anche ideare e realizzare un collegamento diretto dalla Stazione Marittima al Teatro, una sorta di galleria o passaggio particolarmente attraente”
- Lei viaggia molto, le tournée teatrali l’avranno sicuramente portata in città di mare. Vi sono, secondo il suo punto di vista, città che potrebbero essere un modello di integrazione porto-città per noi di Napoli? Oppure Napoli dovrebbe definire un proprio modello?
“Ho visto diverse città che hanno uno stretto rapporto con il porto e con il mare. L’esempio per me più recente è quello di Liverpool, dove il waterfront lungo l’estuario del fiume Mersey è patrimonio UNESCO e accoglie la Tate Liverpool, fra le più belle e importanti gallerie d’arte contemporanea al mondo. Oppure Barcellona, dove una panoramicissima teleferica collega la zona portuale di Barceloneta alla collina del Montjuich, unendo località ricche di attrattive. Il porto di Napoli potrebbe certamente prendere spunto da queste città diversamente acquatiche, ma innestandovi le proprie specificità e lavorando, come le dicevo poc’anzi, sulla sua tradizione teatrale e musicale, e creando nuovi spazi al suo interno. Si potrebbe poi implementare il collegamento via mare da Napoli lungo la costa sia occidentale che orientale, in modo da connettere diversi quartieri della città e i comuni che si affacciano sui golfi di Napoli e di Pozzuoli. L’integrazione, a mio parere, dovrebbe avvenire sia in linea verticale dal mare verso la città e sia in linea orizzontale dal porto lungo la costa. Ma questo compete a chi governa, a chi ha la responsabilità delle scelte sul territorio campano in generale e sull’area portuale in particolare. Senza escludere la possibilità di ascoltare chi pur non facendo parte del mondo marittimo, potrebbe fornire un contributo di idee.”