L’opinione
Porti e collegamenti ferroviari: una questione non solo infrastrutturale
di Vittorio Marzano*
Un efficace collegamento ferroviario è asset irrinunciabile per un sistema portuale che voglia ottimizzare l’utilizzo delle sue aree e massimizzare la sua catchment area, e rappresenta un requisito fondamentale che i porti core europei, come Napoli, devono soddisfare.
L’interruzione dei collegamenti ferroviari del porto di Napoli dal 2015 ha stimolato un doveroso dibattito sul tema, sia pubblico sia nell’ambito della pianificazione ufficiale di settore, finalizzato innanzitutto a individuare la miglior soluzione per rispondere a tale fabbisogno, anche nell’ottica del futuro assetto della Darsena di Levante. L’attenzione si è fisiologicamente concentrata sull’hardware (dove realizzare il terminal ferroviario, con quali prestazioni) del progetto, ed è per questo opportuno richiamare alcune considerazioni di mercato e di carattere organizzativo/gestionale importanti almeno quanto le scelte infrastrutturali.
In primo luogo, se è vero che le prestazioni del cosiddetto Treno Europeo Merci (TEM: 750 metri di modulo, sagoma PC80, peso fino a 2000 t) rappresentano lo standard della rete core, è altrettanto vero che è una analisi accurata della domanda potenziale di trasporto a dover guidare le scelte prestazionali del collegamento ferroviario: per intenderci, un navettamento a corto raggio da/verso gli interporti campani ha esigenze ben diverse da un collegamento a medio/lungo raggio verso destinazioni più lontane. Per di più, limitandosi al traffico containerizzato, l’analisi di domanda non può ormai più prescindere da un’attenta valutazione del posizionamento strategico dei grandi ocean carriers che, da semplici vettori marittimi, si sono prima evoluti in operatori di trasporto multimodali (MTO) che acquistavano tratte di terminalizzazione terrestre e poi, più di recente, in produttori stessi in logica make della vezione terrestre. È recente il caso di MSC che, attraverso la controllata MedLog Italia, ha iniziato a effettuare servizi ferroviari e trazioni stradali in particolare dai porti liguri. Un progetto di intermodalità ferroviaria di un porto è quindi ormai sempre più tassello locale di progetti industriali su scala globale delle compagnie di navigazione e dei grandi MTO e, come tale, va affrontato con logiche progettuali molto diverse anche dal recente passato.
Soprattutto, è agli aspetti organizzativi e gestionali che bisogna guardare con attenzione, come insegna la best practice del porto di Trieste, primo in Italia per volumi di traffico ferroviario, con un tasso di crescita medio annuo del 10% nell’ultimo quinquennio e più di 10.000 treni movimentati nel 2019. Complessivamente, guardando ai soli traffici intermodali, più del 50% del traffico terrestre del porto di Trieste utilizza la modalità ferroviaria, servendo destinazioni in tutta l’Europa continentale, grazie innanzitutto ad una posizione geografica baricentrica rispetto ad un bacino contendibile continentale che non vede altri sistemi portuali mediterranei o nordeuropei dominanti. Una situazione, dunque, ben diversa dalla catchment area più locale che ci si attende esprima il porto di Napoli, ma che comunque fornisce interessanti spunti di riflessione.
Il porto di Trieste ha raggiunto questi risultati sicuramente con una infrastruttura performante, seppur con treni ad oggi di modulo massimo di 600 metri e con una sostanziale saturazione del terminale di Campo Marzio, nel quale sono stati avviati importanti lavori di ampliamento. Va però detto che i tassi di crescita a doppia cifra sono stati raggiunti solo quando la locale Autorità di Sistema Portuale ha implementato politiche organizzative e gestionali che, come e più della dotazione infrastrutturale, hanno contribuito alla crescita dei traffici. Ne rappresentano esempi rilevanti: la costituzione di Alpe Adria, che opera come MTO neutrale e soggetto facilitatore/integratore per la promozione di nuovi servizi ferroviari, grazie alla grande presenza e conoscenza del mercato locale ed aperto alla collaborazione con tutti gli operatori che intendono sviluppare traffici da e per il sistema logistico portuale/regionale; di Adriafer, società di manovra ed impresa ferroviaria accreditata come operatore unico di manovra nel comprensorio portuale e, a supporto di altre imprese ferroviarie, attiva su relazioni di linea a corto raggio verso i nodi del sistema triestino formato dai porti e dai retroporti; di una Direzione per le Infrastrutture Ferroviarie interna alla Autorità di Sistema Portuale, che ha intrapreso il percorso per certificarsi quale soggetto gestore della Infrastruttura Ferroviaria in ambito portuale.
Lo sviluppo di queste iniziative immateriali è spesso lento e complesso quanto un progetto infrastrutturale, ed è dunque da subito che occorre attrezzarsi per uno sviluppo sinergico e complessivo dell’offerta ferroviaria di un sistema portuale, ricordando che il mercato guarda con estremo interesse non solo ai costi di inoltro, ma anche, e spesso soprattutto, alla affidabilità, regolarità, frequenza e modularità dei collegamenti ferroviari.
*Professore Associato Ingegneria dei Trasporti
Università degli Studi di Napoli Federico II