Quattro domande a…
Lorenzo Marone: il mare rappresenta le radici, la memoria, un richiamo costante all’infanzia
“Porto di Napoli, un luogo bello, ma spazi come il molo San Vincenzo dovrebbero essere dei cittadini”
di Emilia Leonetti
Ho incontrato in diverse occasioni lo scrittore Lorenzo Marone ed ogni volta, nonostante la sua aria seria, riflessiva, ho avvertito qualcosa di fanciullesco e di giocoso nel suo sguardo. In effetti anche in quest’intervista il richiamo all’infanzia è presente, così come i ricordi legati a quel periodo della vita che, per ognuno di noi, rappresenta l’inizio di tutto. Con l’aggiunta del ricordo del mare che per lo scrittore rappresenta un richiamo costante. Leggermente più distante, non solo fisicamente, il porto di Napoli che resta un “luogo estraneo”…
- Lei è uno scrittore che è nato e che vive a Napoli. Quale senso ha per Lei essere nato e vivere in una città di mare? In che modo ha influito sulla sua formazione umana e culturale?
“Sono un napoletano atipico perché non sono un lupo di mare. Però è chiaro che il mare ha una funzione terapeutica. Mi fa stare bene e soprattutto fa parte di me. Questo vuol dire che non potrei vivere in un luogo in cui lo sguardo non può raggiungere il mare. Devo, però, sottolineare che Napoli non consente di vivere il mare. Ha il mare ma è come se non lo avesse. Ecco, se posso esprimere un desiderio, vorrei che tornasse a quando sul suo lungo mare c’era la spiaggia. Oggi manca ed è, a mio parere, una sorta di metafora della città. Abbiamo la bellezza ma non la sappiamo utilizzare, valorizzare, curare. Non capisco perché, per secoli, Napoli ha avuto la spiaggia ed ora non c’è nessuno che pensi seriamente a ricrearla, anche per consentire ai napoletani di godere del mare. Tornando alla sua domanda, il mare ha avuto un ruolo nella mia formazione e anche nella mia scrittura. Il richiamo, infatti, è costante.”
- Mi vorrei soffermare proprio sul richiamo che il mare esercita su di Lei. In uno dei suoi ultimi libri, l’isola di Procida è il luogo dove si sviluppa il romanzo. A cosa è stata dovuta questa scelta?
“Il mare dal punto di vista narrativo è per me qualcosa di estremamente attraente. La scelta di Procida è stata dovuta a ragioni letterarie, di legame e di senso. Mi spiego: uno dei libri che ho più amato è “L’Isola di Arturo” di Elsa Morante, in più Procida rappresenta la mia idea di isola, cioè di un luogo semplice, fatto di natura, di solitudine, di separazione e di lontananza dal caos della terraferma. Questo luogo per me è Procida. In più uno dei temi ricorrenti nei miei romanzi è quello delle radici e il mare è “radice” “memoria”, è un richiamo costante alla propria infanzia, ai legami grazie agli odori, ai sapori, alle immagini che la sua presenza suscita. Mi affascina, inoltre, l’idea che dall’isola si possa partire alla scoperta di nuovi luoghi, perché lo sguardo sull’orizzonte spinge a desiderare di partire per nuove terre. Anzi devo confessare che se ho un rimpianto è quello di non essermi imbarcato, quando ero più giovane, su una nave mercantile per vivere il mare attraversandolo su di una nave. L’unico mezzo di trasporto che preferisco”.
- Venendo, invece, al porto. Cosa rappresenta il porto di Napoli? Un luogo solo di passaggio? O uno spazio dove immaginare incontri, scambi?
“E’ un luogo di scambi. Non c’è dubbio. Tra l’altro trovo il porto di Napoli, bello. Il punto è che vorrei fosse integrato con la città. Come per il mare, anche il porto è separato, non vissuto. Rimane uno spazio prevalentemente di approdo o di partenza. Un luogo estraneo alla città. Mi farebbe piacere se si pensasse a renderlo parte integrante. Come? La Stazione Marittima, dove attraccano le navi da crociera, potrebbe diventare, grazie anche agli spazi, un luogo dove, ogni giorno, potrebbero accadere iniziative cui far partecipare i cittadini. Un immobile stupendo con quelle vetrate che si affacciano su piazza Municipio. Il mio auspicio è che si possa riprendere il mare e il porto per restare non per passare. Vorrei farle osservare che a Napoli vi sono interi quartieri da cui il mare non è visibile, a differenza del Vesuvio….”
- Lei avrà viaggiato, visitato altre città di mare. Quali differenze ha notato? Tra le aree portuali da cui è passato quale l’ha colpita maggiormente e perché?
“Non sono certo un esperto e ho difficoltà a trovare differenze. Posso dirle che Barcellona è una città di mare che amo. In generale trovo che i porti siano spesso luoghi staccati dalle città perché, se pensiamo al traffico merci, le aree portuali non sono, ovviamente, accessibili. Per i waterfront, quello del nostro scalo potrebbe diventare uno spazio attraente se venisse riqualificato. Bisognerebbe pensare a progetti che puntino all’integrazione. Un esempio per me emblematico è il molo san Vincenzo, attualmente chiuso. A Napoli, come nel resto del Paese, vi sono spazi che dovrebbero essere restituiti all’uso collettivo e che invece, inspiegabilmente, restano in dotazione a Marina Militare, o ad altri Enti…Edifici e attività che potrebbero sicuramente essere trasferiti in altri luoghi non di pregio come il molo San Vincenzo.”