Quattro domande a…
Arturo Capasso: è cambiato l’impatto economico dei porti sull’economia locale
Positivo aver dato vita al sistema, ma bisogna ripensare al ruolo del porto di Napoli nella regione
di Emilia Leonetti
L’analisi di un economista può cambiare la visione che si ha di una realtà complessa come quella di un porto e di un sistema portuale. L’incontro con Arturo Capasso lo ha confermato, facendo emergere la prevalenza di alcuni settori su altri e le ragioni delle mutate condizioni, insieme ad una serie di contraddizioni che non hanno risparmiato la strategia messa in campo per la ZES campana. L’intervista si è svolta all’Ordine dei Commercialisti di Napoli, dove il Professore Arturo Capasso presiede una commissione dedicata al settore marittimo.
- Arturo Capasso, economista, docente universitario, presidente della Commissione Settore Marittimo dell’Ordine dei Commercialisti di Napoli e componente del gruppo di lavoro nazionale del Consiglio dell’Ordine sul mare. Dal suo punto di vista, prima di tutto di economista come valuta il porto di Napoli e il sistema portuale campano? Nel tempo quali mutamenti ha osservato?
“L’evoluzione che ha interessato il porto di Napoli si colloca nella trasformazione che ha complessivamente riguardato gli scali italiani nel corso degli ultimi venti anni. In particolare il porto di Napoli è diventato sempre più un insieme di aziende specializzate che assumono le caratteristiche di una vera e propria attività industriale come nel caso dei terminal container o della cantieristica, ovvero di società di servizi come nel caso dei terminal passeggeri.
Il trend ha avuto inizio con le autonomie funzionali pre-riforma e si è ulteriormente sviluppato con lo strumento delle concessioni. Ognuno dei settori che contraddistinguono lo scalo partenopeo ha un diverso impatto sul territorio. Indubbiamente il traffico merci ha perso di importanza rispetto al territorio su cui insiste lo scalo partenopeo, perché genera sempre meno valore locale.
Il container transita in banchina, dove avviene il carico e lo scarico, ma non c’è attività di manipolazione come accadeva una volta per le merci alla rinfusa. La meccanizzazione ha reso il lavoro portuale estremamente capital intensive e poco labour intensive. Per quanto riguarda il comparto merci, quindi, il porto ha perso il carattere di volano di ricchezza per il territorio. Ha però una grande importanza per le imprese di trasporto e per le attività commerciali e di servizi.
Il comparto del traffico crocieristico, invece, ha maggiore impatto sul territorio perché porta passeggeri, escursioni, spese nelle immediate vicinanze del porto. La comunità locale ha, quindi, maggiore interesse per Il traffico crocieristico. In questo ragionamento il porto di Napoli ha una caratterizzazione in più perché ha, in aggiunta al traffico crocieristico, un elevatissimo traffico passeggeri. E’ uno degli scali che raggiunge il maggior numero di passeggeri al mondo. Deve quindi gestire questo ulteriore aspetto che comporta ulteriori esigenze organizzative all’interno dello scalo.
Per rispondere più precisamente alla sua domanda, devo sottolineare che l’impatto economico è diversificato. Mentre prima l’impatto del porto sull’economia locale si manifestava prevalentemente sull’occupazione diretta nel porto, sulle attività strettamente legate allo scalo come il magazzinaggio, piccole lavorazioni, oggi è tutto più concentrato e in qualche modo più specialistico. Penso in particolare ai professionisti e alle attività di servizio connesse alle attività portuali . Su questo aspetto rilevo un ritardo da parte di alcune categorie professionali che non si sono sufficientemente aggiornate rispetto alle mutate necessità che il settore dello shipping nel tempo ha richiesto.
Per esempio , l’attività finanziaria legata alla navi viene svolta prevalentemente a Milano, gli avvocati marittimisti più attivi sono per lo più quelli genovesi, in generale i nostri professionisti non sono stati sempre in grado di cogliere pienamente le opportunità che il mondo dello shipping avrebbe potuto offrire loro. Questo ha indotto l’ordine professionale dei Dottori Commercialisti ad interessarsi in maniera più puntuale al settore marittimo, facendo ricorso ad una serie di attività di formazione, workshop, convegnistica. L’obiettivo della commissione che presiedo è quello di diffondere, soprattutto tra i giovani commercialisti, la cultura e le conoscenze necessarie per operare nei confronti delle imprese armatoriali e delle imprese marittimo-portuali . Siamo ormai in un campo altamente innovativo e specializzato che richiede necessariamente un nuovo e diverso modo di operare nel settore nell’ambito della professione. Un esempio su tutti è l’importanza che sta assumendo nel campo finanziario l’ ESG ( environmental social, governance delle imprese): si tratta di un parametro che misura l’impatto ambientale, sociale della sostenibilità e della governance delle aziende. Questo riguarda particolarmente il settore marittimo le cui attività sono ad alto impatto ambientale. “
- Una delle importanti novità degli ultimi anni è stata l’istituzione della ZES Campana. I freni maggiori per il suo avvio sono i tempi e le procedure burocratiche ancora troppo complesse, almeno queste sono le principali criticità rilevate in questi ultimi mesi. Cosa ne pensa? Uno strumento che in tantissimi Paesi ha consentito lo sviluppo di attività industriali, la crescita dell’occupazione e la trasformazione delle aree a ridosso dei porti, qui nel Mezzogiorno stenta a decollare. Perché non decolla?
“Premesso che la ZES è uno strumento importantissimo e che può rappresentare un fattore propulsivo rilevante per i porti del sistema campano, manca purtroppo un retroterra con, ad esempio, un distripark . Per quanto riguarda il porto di Napoli è una tematica che risale al primo Piano Operativo Triennale ( fine anni’90). All’epoca si pensò che la soluzione potesse essere rappresentata dall’ Interporto di Nola. I fatti hanno dimostrato il contrario. E’ mancata, invece, un’area a ridosso del porto di Napoli, lo stesso ragionamento vale per Salerno, dove creare delle attività a valore aggiunto.
La ZES colma, quindi, il vuoto determinatosi fino ad oggi. Perché non decolla ? Perché, a mio parere, le agevolazioni fiscali previste non sono di grande rilievo rispetto a quelle offerte da altre ZES nel mondo. Oggi per invogliare un’impresa di buon livello, con capacità innovative, bisognerebbe offrire le agevolazioni a fondo perduto. Il meccanismo del credito di imposta è un meccanismo che aiuta soprattutto le imprese gravate da molte tasse.
Venendo alle tipologie di attività che potrebbero insediarsi nell’area ZES, devo precisare che sono state escluse una serie di attività legate proprio alla logistica. Comprendo il ragionamento che sott’intende la scelta di cercare di fare insediare imprese di carattere industriale, ma il campo della logistica è anche quello di imprese di assemblaggio. La nortmativa europea sugli aiuti di Stato richiede, però, uno specifico passaggio di autorizzazione comunitaria per includere il settore della logistica. So che l’iter è in corso.
Per chiudere vorrei osservare che si sarebbe potuto portare avanti anche un altro ragionamento: negoziare con potenziali imprese di regia tipo Amazon o Ikea che, insediandosi, avrebbero potuto attrarre altre aziende ad esse collegate. Si sarebbe dovuto prevedere un contratto di investimento come già accaduto in altre ZES (vedi Tangeri) . Probabilmente il decollo della ZES dipende anche dalla presenza di due- tre operatori internazionali molto forti in grado di far crescere intorno a sé altre aziende, scegliendo Napoli come hub logistico”.
- Veniamo alla legge di riforma dei porti che ha istituito le Autorità di sistema portuale. E’ stato, a suo parere, sufficiente integrare in un’unica autorità i porti di una stessa regione? E il tema dei porti nodi di un sistema logistico ha trovato risposta nella riforma?
“La riforma ha svolto un ruolo positivo perché i porti vanno gestiti in una logica sistemica. Non si può pensare a porti dello stesso bacino che si facciano concorrenza tra di loro. Oltre a non avere senso, sarebbe anti economico. Gli investimenti nei porti, infatti, sono prevalentemente investimenti fissi per cui se due aziende che hanno alti costi fissi e basti cossi variabili si fanno concorrenza finiscono per perdere entrambe. La logica è di operare come sistema assecondando le vocazioni naturali dei porti .
Altri aspetti rilevanti riguardano alcune tipologie di attività. Napoli, ad esempio, è rimasto uno dei pochi poli delle riparazioni navali nel Mediterraneo, pur in uno scenario fortemente competitivo. Questo è diventato importante, non tanto per il traffico commerciale ma per il settore crocieristico perché mentre per la nave commerciale può essere più conveniente farla riparare in bacini più economici, per la nave da crociera lo spostamento in un bacino dove la manodopera costa meno, avrebbe dei costi troppo elevati. Occorre, quindi, a mio parere ripensare il ruolo del porto di Napoli nella complessiva economia della regione.
Sono convinto, infatti, che molta della ricchezza prodotta in Campania possa derivare dalla presenza di due scali importanti come Napoli e Salerno. E’ necessario, però, attrezzare le aree interne per catturare una quota importante del valore aggiunto connesso al traffico.
Bisogna rendere conveniente l’insediamento di imprese di trasformazione connesse all’ imbarco e allo sbarco della merce. Occorre trovare nuove attività che siano collegate al traffico marittimo ma che realizzino dei processi di trasformazione e di valorizzazione dei prodotti che sono trasportati via mare. Questo lo devono fare gli imprenditori che devono però essere attratti dalle agevolazioni. I porti devono diventare volani per le imprese e fonte di ricchezza per la popolazione che insiste in quel territorio”.
- Oltre ad essere uno studioso del settore marittimo, lei è un cittadino di Napoli. Da questo punto di vista cosa si aspetta che l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale faccia per rendere il porto parte integrante della città e in generale per sviluppare appieno le potenzialità dello scalo sul piano economico?
“Coerentemente con quello che è stato fatto in altri scali deve avere delle aree ben suddivise, con la sua parte turistica aperta alla città e luogo di aggregazione, e coni il porto industriale caratterizzato dall’efficienza, dall’organizzazione e isolato dal resto della aree portuali. Credo che la separazione, cui facevo poc’anzi cenno, sia stata ben delineata dall’Autorità Portuale, ma il problema è che non sono stati ben sviluppati né gli aspetti commerciali né quelli turistici dello scalo partenopeo. Se penso al Molo San Vincenzo devo dire che l’ area turistica del porto è poco sviluppata. Mancano, restando nell’area del waterfont, luoghi di aggregazione, centri culturali.“