Terminal Conateco: l’impegno per sfruttare al massimo le potenzialità
Le scelte della proprietà per ridurre il gap con i terminal del nord
di Emilia Leonetti
Inizia dalla sala riunioni della società Conateco la visita al principale operatore del settore “container” dello scalo partenopeo. Una palazzina gialla, con grandi vetrate, negli spazi retrostanti il terminal Bausan, è la sede della società di proprietà, dal 2016, di “MSC”.
L’appuntamento con Pasquale Legora De Feo era stato preso alcuni giorni prima non senza qualche difficoltà, dovuta al lavoro intenso, continuo e, tra l’altro, alla volontà di MSC di velocizzare il piano di ristrutturazione dell’azienda, sfruttando al massimo le potenzialità del terminal.
“Anche perché – precisa il Presidente e Ad della società – il gap infrastrutturale del nostro scalo è di 10 anni rispetto agli altri porti italiani e di 50 anni rispetto a quelli europei. A questo si aggiungono, nel segmento contenitori, i costi del canone concessorio che sono molto alti. Noi paghiamo 9,25 euro per mq. di contenitore, a Salerno il costo è di 3,30 euro a mq. ”
In due anni, pertanto, l’impegno è stato indirizzato sui principali fattori di competitività di un terminal container: l‘informatizzazione dei processi produttivi, l’ammodernamento dei mezzi meccanici, la riorganizzazione del lavoro incentrata su una maggiore produttività e sulla rotazione del personale. Tra il terminal “Bausan” e quello dell’area “Soteco” (acquisito da diversi anni dalla società) lavorano 333 persone, tra operai e impiegati. In termini di investimenti, il piano ha comportato una spesa di sei milioni di euro per gli anni 2016-2018, mentre per i prossimi anni la proprietà prevede di investire altri dodici milioni di euro.
“Per noi- spiega Pasquale Legora de Feo- il fattore tempo è discriminante. I nostri clienti, siano armatori o trasportatori, devono poter contare su tempi di espletamento delle diverse fasi, a partire dall’arrivo della nave all’uscita della merce e viceversa, certi e misurabili. La necessità di fornire servizi competitivi con quelli di altri porti, primi tra tutti quelli europei, ci ha indotto a rivedere i nostri livelli di produttività e a riorganizzare la nostra attività al terminal avendo come obiettivo il ridurre al massimo i tempi morti.”
Il terminal è alle spalle degli uffici di direzione. Mi accompagna Ferdinando Vitagliano, responsabile security. Entriamo dall’area destinata a traffico in importazione. Tutta l’attività, dal posizionamento dei container al prelievo per l’uscita avviene con gru RTG, note anche come Gru a cavalletto gommate. La movimentazione è guidata da computer “palmari” che gli operai, alla guida del mezzo, utilizzano per coordinare sia “l’impilaggio” dei container, sia “il prelievo” per la consegna ai camion in uscita.
Il punto, come ha più volte ribadito l’Ad e Presidente della società, riguarda i tempi di attesa per l’uscita che non devono superare, per essere competitivi con gli altri scali, i 25-30 minuti di permanenza all’interno del terminal. “Sono questi- afferma Legora De Feo- i colli di bottiglia del nostro scalo e che ci inducono ad aggiornare, di frequente, i nostri programmi. Vede, le navi hanno le eliche e si dirigono in quei porti dove è più vantaggioso attraccare.”
Per arrivare all’area “esportazione” passiamo dinanzi a cinque gate, le porte d’ingresso al terminal per gli autotrasportatori e che funzionano da ufficio “verifica” dei documenti di accompagnamento della merce da consegnare o da prelevare. Anche in quest’area il lavoro avviene su “carrelli” mobili e sullo stoccaggio dei container coordinato da computer “palmari” in dotazione al personale di guida. In questa zona i container possono sostare anche qualche settimana in attesa dell’arrivo della nave.
Alle banchine di levante e di ponente sono, oggi, attraccate due navi. Per una è in corso il piano di stivaggio dei container. Sulle banchine 51-52 e 54-55 sono operative 5 Gru Paceco e 1 gru mobile. E’ sicuramente una delle aree più suggestive del nostro scalo, soprattutto per le dimensioni delle gru Paceco che si muovono fissate a grandi ponti, sotto i quali, all’interno di piccole cabine, un operatore movimenta i container dalla nave ai camion e viceversa.
“L’introduzione massiccia, nel settore container, di mezzi governati da sistemi informatizzati- precisa Pasquale Legora- ha modificato il lavoro e soprattutto ha portato in alcuni casi alla scomparsa di figure professionali, come lo “spuntatore”, in altri alla concentrazione in un’unica figura di più competenze.“
E’ infatti scomparsa la figura dell’operaio “sotto bordo”, quello che una volta caricava e scaricava la merce. Gli operai di banchina, che operano al terminal e che incontriamo nel giro, si occupano del fissaggio dei container che devono essere imbarcati a mezzo dei “twistlock”, dispositivi di fissaggio specifici. Il fissaggio, spiega Ferdinando Vitagliano, dipende dal posizionamento del container: se andrà nella stiva non è necessario. Mi mostra, attraversando la banchina in auto, un portellone che sarà prelevato una volta riempita la stiva per chiuderla.
In media attraccano al terminal due navi al giorno. L’attività dal 2016, dall’acquisizione della società da parte del secondo armatore al mondo nel traffico container, è in costante aumento. Il 2018 si chiuderà con 500 mila contenitori in teu movimentati, mentre le previsioni, per il 2019, sono di raggiungere i 600 mila container in teu.
“In questi due anni è cambiata prima di tutto la mentalità- spiega Legora De Feo- Siamo tutti concentrati, management, impiegati, operai, nel fare al meglio il nostro lavoro. Siamo riusciti grazie anche ad un piano di riorganizzazione del lavoro e del terminal che è risultato vincente. Abbiamo investito molto nella formazione del nostro personale per assicurare una preparazione adeguata ai nuovi compiti. Manca per completare il programma di implementazione delle potenzialità del terminal, l’apertura di un PIF (Punto di ispezione frontaliera). Ma questo dipende dall’Autorità di Sistema Portuale di Napoli, cui abbiamo presentato la richiesta.”
Per uscire passiamo davanti all’area controllo doganale divisa in una zona dotata di “scanner” e in una zona per le verifiche “manuali” dei contenitori. Proseguendo, sulla destra, c’è il terminal Soteco destinato allo stoccaggio dei carichi pericolosi. “Come ha potuto constatare- mi dice il giovane responsabile della security (ha 31 anni e una laurea in economia)-riusciamo a svolgere, in un’area ristretta rispetto all’attività, diverse e complesse funzioni. Mi auguro che riuscirà a renderla…” Sì me lo auguro anche io.