AdSP da trasformare in SPA: per Assoporti confronto opportuno, non ora.
“La via della seta” non tocca i porti del sud. Guardiamo, invece, all’Africa
di Emilia Leonetti
In quest’intervista Zeno D’Agostino, Presidente di Assoporti, affronta in maniera franca e propositiva alcuni nodi ancora irrisolti del sistema portuale italiano. Dalla discussione che si è aperta di recente sulla trasformazione delle ADSP in SPA, all’autonomia finanziaria, alla strategia che il Governo dovrebbe mettere a punto per superare il gap tra i porti del nord e quelli del sud Italia. Emerge un quadro critico, che richiama l’urgenza di un confronto serio e approfondito su una delle principali filiere economiche del nostro Paese. L’economia del mare supera, infatti, i 44 miliardi di euro di valore aggiunto, conta 200 mila imprese e occupa 900 mila persone.
1) Presidente Zeno D’Agostino, lei è, oltre che Presidente dell’AdSP di Trieste, Presidente Assoporti. Come si pone l’associazione che lei presiede, nei confronti dell’annunciata nuova riforma delle AdSP in SPA da parte del Ministero delle Infrastrutture? Trova fondati i rilievi sulle possibilità, con la trasformazione in SPA, di rendere più efficienti e trasparenti le attività di pianificazione , gestione e controllo?
“Non c’è alcuna preclusione a ragionare sulla trasformazione delle Autorità in Spa. Sono, infatti, convinto che c’è la volontà di fare il bene dei porti e del sistema portuale italiano. Invito, però, tutti a ragionare. Non so, per esempio, come sostituire il potere che hanno attualmente le Autorità portuali sul demanio marittimo con quello che si ipotizza potrebbe essere, di massima, il potere di una società per azioni. Da parte mia ho lavorato sia in Spa pubbliche, sia in Enti pubblici non economici e conosco, quindi, i vantaggi e gli svantaggi dell’una e dell’altra forma giuridica. Tengo, però, a sottolineare che il tema cade in un momento in cui siamo sottoposti da parte dell’UE ad un’indagine relativa alla fiscalità dei porti. La questione della trasformazione in Spa sarebbe, quindi, utile affrontarla in una fase successiva ai chiarimenti che lo Stato italiano dovrà fornire a Bruxelles”.
2) Quali sono a suo parere, e se vi sono, dei rischi o se vuole i limiti nell’annunciata trasformazione?
“Dobbiamo separare la discussione sul tema “trasformazione” da quelle che sono le attività attualmente in corso con Bruxelles, che preme nel voler affermare la natura d’impresa delle AdSP. È indispensabile affrontare il tema dopo che si sarà chiarito che le AdSP non sono imprese e che, quindi, non sono tenute a pagare le tasse così come richiesto dall’Ue. Sarebbe, a mio parere, un segno di debolezza politica trattare ora l’eventuale cambiamento.”
3) Uno dei temi ricorrenti, quando si considerano le Autorità Portuali, è quello dell’autonomia finanziaria. La restituzione ai porti dell’1% dell’Iva, decisa all’epoca del Governo Gentiloni, ricavata dall’importazione delle merci, ha prodotto, secondo recenti stime, nel 2016 poco più di 63 milioni di euro. Come si sta muovendo Assoporti? Soprattutto cosa propone al Governo Conte?
“Mi sono più volte espresso sulla questione dell’autonomia finanziaria in maniera molto critica rispetto all’attuale ordinamento. È stata costruita una norma che rende remunerativo il porto che percepisce più Iva grazie ad un’elevata attività d’importazione delle merci. Trovo singolare che si favoriscano i porti che importano e non si preveda, invece, che chi svolge attività di export in maniera significativa, chi sviluppa i propri traffici nei settori passeggeri, delle crociere e non prevalentemente nel settore cargo, non possa essere destinatario di fondi. È un atteggiamento ragionieristico, che non considera le performance complessive dei porti. Voglio con questo affermare che i criteri, che devono portare all’assegnazione di fondi alle Autorità portuali, debbano essere ponderati, tenendo conto di fattori diversi e che, soprattutto, debbano essere stabiliti da chi conosce i porti. Secondo lei, fa più bene all’Italia un porto che importa o uno che esporta?”
4) Uno dei punti di forza della riforma dell’agosto 2016 è creare una connessione tra porti e sistema logistico. Dal suo osservatorio come valuta il lavoro che in circa due anni si è sviluppato nelle 15 AdSP per dare concretezza alla riforma?
“È chiaro che esistono situazioni differenti sul territorio nazionale. La fusione di porti in AdSP richiama la necessità di armonizzare l’organizzazione del personale, i bilanci, le differenti dotazioni infrastrutturali. Riuscire a realizzare una struttura di sistema richiede tempo perché comporta la ricerca di un equilibrio tra realtà diverse. Per valutare l’impatto che la riforma ha prodotto sulla creazione di sistemi portuali dovremo attendere almeno un altro paio di anni”.
5) Un altro aspetto innovativo è stato l’istituzione di un Coordinamento delle AdSP in cui siedono i Presidenti. Funziona? Cosa è stato fatto sino ad ora? Quali atti ha prodotto?
“Aver previsto la struttura di Coordinamento delle Autorità di sistema è stato importante perché in essa siedono tutti i Presidenti delle AdSP. Scopo del Coordinamento è confrontarsi, in un’ottica nazionale, sulle priorità che i Presidenti, insieme ad Assoporti, ritengono importanti per lo sviluppo del sistema portuale italiano. È un tavolo di confronto indispensabile per coordinare e condividere le azioni da portare avanti nelle singole Autorità di sistema. L’organismo funziona se il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che presiede la struttura di Coordinamento, lo convoca”.
6) Via della Seta “marittima”: quale contributo sta dando Assoporti nella definizione del “memorandum di intesa” cui sta lavorando il Governo? Come Presidente che rappresenta le Autorità di sistema del nostro Paese cosa pensa dovrebbe contenere l’accordo con il Governo Cinese?
“Su questo c’è un costante dialogo tra Assoporti e il Ministero dello Sviluppo Economico. Devo riconoscere che Michele Geraci, il Sottosegretario al Ministero dello Sviluppo, è direttamente impegnato nella costruzione del memorandum e nel favorire i rapporti tra la portualità italiana e il governo cinese. A novembre, come Assoporti, parteciperemo ad un’importante manifestazione a Shangai, dove sono previsti anche incontri di business tra l’Italia e la Cina. Quello che attualmente manca, e su cui noi di Assoporti, con il Governo italiano dobbiamo lavorare, è la creazione di una strategia di sviluppo per la portualità centro- meridionale. La via della seta marittima facilita i porti del Nord che hanno un accesso più diretto con l’Europa centrale e orientale. I porti del Centro Italia e del Mezzogiorno, invece, dovrebbero puntare ad una strategia diversa: essere piattaforma verso l’Africa”.
7) È un dato acclarato che i porti italiani soffrano di un gap con i porti del Nord Europa. Per diverse ragioni: dimensioni, capacità infrastrutturale, informatizzazione, sistema di trasporto su ferro. Cosa potremmo fare per ridurre il gap?
“Il gap non riguarda Trieste, ma i porti soprattutto del Sud Italia. Anche sul tema della portualità, devo riconoscere che siamo un Paese a due velocità con un sistema intermodale e infrastrutturale del Nord più forte e un sistema meridionale più debole. Qui entra in gioco il ruolo del Governo e di una politica nazionale che dovrebbe puntare ad una strategia d’insieme in grado di superare il gap. Voglio ricordare che nel precedente Governo era stato previsto, proprio per sostenere il sistema portuale italiano, presso il Ministero delle Infrastrutture, una struttura tecnica di “missione”, oltre ad aver dato vita a Ram. Comprendo le emergenze e le difficoltà dovute ai fatti di Genova, ma credo che sia ormai il tempo di riprendere un’azione di Governo sul sistema portuale italiano in grado di delineare una visione nazionale. Su questo Assoporti svolgerà sino in fondo il proprio ruolo di proposta, di sollecitazione e di richiamo al valore che la portualità italiana riveste per l‘economia e per l’occupazione del nostro Paese”.