Quattro domande a…
Una grande cantante e compositrice jazz ricorda il ruolo di Napoli nel mondo
Maria Pia De Vito: la cultura napoletana, motore di rilancio della città e del porto
Di Emilia Leonetti
Maria Pia De Vito vive a Roma da diversi anni, ha lasciato Napoli nel 1986, per seguire la sua passione: cantare e comporre musica jazz. In quegli anni, infatti, ciò che accadeva musicalmente restava confinato a Napoli. Pur essendoci tanti ottimi musicisti, all’epoca gli snodi per fare carriera nel mondo del jazz erano a Roma e a Milano. In più essere musicisti significa essere pronti a viaggiare “perché la carriera non può svilupparsi in una sola città. Si parte da un porto e si viaggia continuamente per gli incontri, le tournée, i progetti all’estero…”
Però, come racconterà nel corso dell’intervista, per restare vicina alla sua città natale, scelse Roma. L’intervista confermerà l’importanza del legame con Napoli e con il mare. Soprattutto l’influenza che la cultura napoletana, non solo musicale, continua ad avere nella sua storia professionale.
- Lei è una cantante jazz e una compositrice di fama internazionale. Quanto e in che modo ha influito nella sua scelta essere nata a Napoli? Glielo chiedo anche perché, a differenza di alcune sue colleghe, ha deciso di dedicarsi a un genere non strettamente corrispondente alla tradizione musicale classica napoletana.
“Credo profondamente che Napoli sia da sempre un luogo di incontri di culture diverse. La musica napoletana, il modo di cantare in napoletano, è il frutto della mescolanza di quattro-cinque culture diverse. L’elasticità dell’orecchio che noi abbiamo e che affonda le radici nel nostro melting pot culturale ha influito nella mia formazione. Napoli è stata la mia fonte, poi, pur coltivando generi musicali non strettamente “napoletani”, ho costantemente attinto come cantante e come compositrice alle mie radici. Nel 1994, in particolare, ho realizzato insieme a Rita Marcotulli, un progetto “Nauplia” incentrato sulla rielaborazione della tradizione musicale napoletana con l’inserimento di canzoni nuove in dialetto napoletano. Nel tempo ho trovato un filone di ricerca per la mia musica che ha avuto tante declinazioni, ma che ha sempre attinto alla lingua e alla musica partenopea. Una miniera inesauribile di ispirazione, se pensa che nel sedicesimo secolo a Napoli c’erano quattro conservatori. La nostra tradizione tra il popolare e il colto è immensa. Il mio penultimo progetto si intitola “Moresche e altre invenzioni” e sono le “moresche” che Orlando di Lasso scrisse dopo aver passato tre anni a Napoli, lavorando alla corte del Marchese di Laterza e che, una volta tornato in Olanda, riportò in un famoso libro di villanelle e moresche, dando risonanza europea alla musica napoletana”.
- Lei da anni vive lontano da Napoli, dove è nata. Vivere lontano dal mare, dai rumori, dai colori di Napoli le manca? Cosa rappresenta per Lei il mare? Anche nella sua attività artistica ha un posto o è ormai solo un lontano ricordo?
“Il mare, la sua vista, mi mancano e li vengo spesso a cercare. Mi predispone alla poesia, alla creazione. Entra e esce dalle mie tematiche. A Napoli diciamo “m’arrecreo”: il ricrearsi, il rinnovarsi, è per me rappresentato dal mare. Anche quando non lo vedo, lo immagino”.
- La sua arte si è sempre nutrita di melodie mediterranee. Le sue radici ritornano nella sua arte e la influenzano. Per la sua cultura e la sua formazione, Napoli quale ruolo svolge e può svolgere nel Mediterraneo?
“Sono una grande lettrice e recentemente ho letto un libro che parlava degli usi e dei costumi ai tempi di Masaniello. Napoli in certi momenti è stata più importante di Londra o Parigi. Era una città con tante porte. Oggi ci sono rimaste Porta Capuana, Port’Alba. Nel 600 c’erano Porta della Pace, della Fede. Napoli era una porta sul Mediterraneo e aveva dimensioni superiori ad altre città europee. Svolgeva un ruolo negli scambi commerciali e culturali. Oggi la situazione è diversa, l’iper-connessione e gentrificazione rendono spesso un luogo uguale all’altro. Devo, però, riconoscere che la vitalità che trovo a Napoli non la trovo in nessun altro luogo. C’è un ribollire continuo della città, e per questo Napoli potrebbe avere di nuovo un ruolo.
Vede, negli anni ‘70, inizio anni ’80, sono emersi artisti, oltre a Roberto De Simone e alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, come Pino Daniele, James Senese con Napoli Centrale. La scuola musicale napoletana negli anni ‘70 e ‘80 è esplosa, ed ha conquistato uno spazio a livello nazionale. E’ una delle tante esplosioni cicliche che Napoli vulcanicamente emette. C’è bisogno, a mio parere, di progettare. Si può fare ancora tantissimo, perché Napoli è unica per bellezza, per posizione e perché vive nell’immaginario internazionale. Napoli ha un posto simbolico nel mondo e declinarlo nella modernità sarebbe vincente. Per questo, però, ci vorrebbero sedi per la musica, per la produzione, per la creatività in generale, mettendo a frutto l’enorme bacino di storia e cultura di questo territorio. La cultura napoletana, per me, non solo quella musicale, potrebbe essere il vero motore di rilancio della città”.
- I porti. L’ultima domanda vorrei riservarla a questi luoghi da cui partono e a cui approdano uomini di culture, etnie, mondi diversi. Il porto di Napoli è uno di questi luoghi, anche per la sua storia di scalo per gli emigranti diretti nelle Americhe. In che modo, a suo parere, lo scalo partenopeo potrebbe diventare luogo di scambi culturali, oltre che di traffici e di merci?
“Mi ha colpito che il porto di Napoli, ma anche altri porti, siano degli spazi separati dalle città. Solo Genova, per la mia esperienza, ha utilizzato l’area turistica del porto per attività culturali. Nel porto di Napoli ho passato una serata di Capodanno, cantando alla Stazione Marittima. L’area del molo Beverello è in fondo estremamente vicina alla città, la separazione è minima. Voglio dire che non ci vorrebbe molto per abbracciarlo alla città e dove sarebbe, forse, possibile ideare iniziative, magari serali, per i napoletani”.