L’opinione
La merce non unitizzata nel porto di Napoli:
la “catchment area” attuale e potenziale
di Roberto Cinquegrani*
Comprendere la zona geografica di riferimento di una infrastruttura che genera connessioni rappresenta una delle principali sfide sia per chi si serve dell’infrastruttura stessa per il proprio business sia per chi l’amministra.
In linea di principio l’area d’influenza di un’infrastruttura di trasporto è definita come l’area in cui l’utilizzo della stessa è economicamente conveniente rispetto alle possibili alternative. Nella teoria economica, quindi, la funzione dei costi di traslazione della merce (trasporto, movimentazione e stoccaggio) che caratterizza la catena del valore degli operatori di un determinato porto, determina la capacità dell’infrastruttura stessa di attrarre merce da una minore o maggiore distanza. Il tasso di utilizzo dell’infrastruttura sarà quindi funzione della quantità di domanda di servizi logistici presenti nell’area di riferimento così definita.
Ma è proprio così?
Certamente, quanto maggiore è la “densità economica” dell’area di riferimento tanto maggiore sarà l’utilizzo dell’infrastruttura. Parafrasando le parole di Pietro Spirito al convegno di presentazione del Piano Operativo Triennale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, la crescita del porto di Napoli è “… funzionale e dipendente dalla crescita economica della Campania, del basso Lazio e di parte della Puglia …” che rappresentano il principale bacino di utenza del Porto stesso. Indubbiamente un comparto economico ed industriale con tassi di crescita più elevati porrebbe al Porto ed alle infrastrutture afferenti una sempre maggiore pressione per lo sviluppo dei traffici.
D’altro canto esiste certamente un aspetto dinamico nello sviluppo dei traffici e delle funzioni di costo che la definizione teorica del paragrafo precedente non tiene sufficientemente in considerazione. In altri termini al crescere dei volumi (che possono dipendere dalla densità economica dell’aria di riferimento o dalla dimensione della stessa) crescono, generalmente, le economie di scala degli operatori logistici, e, pertanto, si riducono i costi unitari di servizio. Sulla base della definizione precedente, l’area di riferimento dovrebbe quindi espandersi, in quanto la convenienza economica dell’utilizzo di quel porto dovrebbe erodere spazi rispetto ai porti concorrenti. Questo fenomeno genererebbe un “loop positvo”, ovvero determinerebbe un fenomeno che si auto-rinforza in termini di crescita e di competitività fino a quando l’utilizzo delle infrastrutture non raggiunge il limite di saturazione.
Se comunque la teoria ci fornisce un supporto essenziale per interpretare i fenomeni reali cerchiamo di comprendere, almeno per il caso delle merci non unitizzate (rinfuse solide e merci varie) quale sia la situazione attuale del Porto di Napoli. Grazie alla collaborazione fra il Porto di Napoli ed il locale compartimento dell’Agenzia delle Dogane sono stati analizzati i dati di traffico per gli anni 2016, 2017 e 2018[1] delle merci “non containerizzate”, secondo la classificazione utilizzata dall’agenzia stessa[2].
La figura 1 mostra le quantità (espresse in tonnellate) e le tipologie di merce, classificate secondo la nomenclatura “TARIC” in uso nelle dogane europee, nel settore “merci non contenairizzate” sdoganate al Porto di Napoli negli anni 2016 e 2018. Ci riferiamo quindi al commercio extra-comunitario. Le prime cinque categorie (cereali, cellulosa, acciaio/ferro, grassi animali o vegetali, alimenti per animali), sia per volumi sia per tipologia, possono essere certamente considerate merci alla rinfusa, mentre le altre viaggiano principalmente come “general cargo” in unità confezionate (sacchi, big bag, etc…)
Figura 1 – Principali traffici non unitizzati del Porto di Napoli
Fonte: Elaborazioni su dati del Compartimento di Napoli dell’Agenzia delle Dogane
I valori esposti nei grafici si riferiscono ai traffici oggetto di dichiarazione doganale, pertanto quanto pervenuto anche via nave da Paesi Europei (o già nazionalizzato) non è inserito nella contabilizzazione delle attività. Tuttavia, confrontando i dati elaborati dalle dichiarazioni doganali con quelli pubblicati dall’Autorità di Sistema Portuale sulla base delle dichiarazioni dei terminalisti, la differenza appare trascurabile.
Il traffico non unitizzato del porto di Napoli, quindi, è molto concentrato su un numero limitato di merceologie. Cereali e cellulosa (quest’ultima seconda nel 2016 e prima nel 2018 con una crescita del 15%) rappresentano assieme più del 60% del totale dei volumi, ed i flussi di merce risultano provenire da pochi principali partner commerciali.
La figura 2 mostra infatti i Paesi di provenienza della merce alla rinfusa scaricata nel Porto di Napoli negli anni 2016 e 2018. Se nel 2016 i principali partner commerciali erano Stati Uniti, Brasile e Indonesia, tutti con volumi superiori alle 100.000 tons, nel 2018 è l’Ucraina a diventare il Paese da cui si importa maggiormente, superando la soglia delle 200.000 tons. e soppiantando completamente gli Stati Uniti quale fonte di approvvigionamento dei cereali. Ciononostante gli Stati Uniti restano uno dei principali partner grazie all’importante crescita dei volumi di cellulosa da quel Paese.
A fronte, quindi di una concentrazione dei flussi dai principali Paesi corrispondenti (i primi quattro passano da una quota del 60% in peso nel 2016 ad una del 66% nel 2018) si assiste negli ultimi anni ad un allargamento del numero di Paesi da cui provengono da 1.000 a 99.000 tonnellate di merce, che passano da 14 a 16, distribuendosi una minore quota di scambi.
Dalla figura 2 appare evidente che le 230/250 navi rinfusiere che ogni anno approdano a Napoli attraverso collegamenti “non di linea”[3], garantiscono la relazione del territorio di riferimento del porto stesso con una sostanziale parte del mondo industrializzato. La funzione dell’infrastruttura portuale quale “finestra sul mondo” del proprio entroterra appare, nella figura 2, in tutta la sua evidenza.
Figura 2 – Principali Paesi di provenienza della merce non unitizzata
Fonte: Elaborazioni su dati del Compartimento di Napoli dell’Agenzia delle Dogane
Ma quale è il territorio di riferimento del Porto di Napoli per le merci non unitizzate? La Figura 3 rende altrettanto evidente che la teoria economica che pretenderebbe di definire la “catchment area” di una infrastruttura importante come quella portuale riesce solo in parte a spiegare la realtà. Se infatti appare immediatamente chiaro che le merci alla rinfusa destinate alla provincia di Napoli (che rappresentano più del 50% del totale) difficilmente potrebbero servirsi di un altro porto, così come sono facilmente comprensibili i volumi destinati alle altre provincie campane, a quelle del basso Lazio, Basilicata, Molise e Puglia, diventa molto più complesso spiegare sulla base della teoria economica i flussi destinati a Ravenna, quelli per Vicenza, Milano o Torino –anche se in quantità ridotte.
È probabilmente la creazione di “quell’eco-sistema relazionale”, come veniva chiamato da Richard Normann, che si genera nelle strutture economiche complesse che ci aiuta a comprendere tali fenomeni. È la capacità e la competenza dei diversi attori che co-partecipano alla creazione di valore nel processo logistico, anche attraverso strategie di specializzazione e focalizzazione su tipologie di merci, rotte, traffici, creando sistemi fiduciari interpersonali che consentono di generare flussi che altrimenti sono difficilmente spiegabili con la sola teoria della razionalità economica.
Figura 3 – Provincie di destinazione della merce importata dal porto di Napoli
Fonte: Elaborazioni su dati del Compartimento di Napoli dell’Agenzia delle Dogane
Se quindi il compito delle istituzioni preposte al governo delle infrastrutture consiste nell’anticipare le esigenze della comunità economica creando per tempo la “capacità disponibile” e nel predisporre quanto necessario affinché la funzione dei costi di traslazione della merce degli operatori possa ridursi (si pensi ad esempio al progetto di collegamento ferroviario presentato dall’Autorità di Sistema Portuale), elemento essenziale per la crescita delle attività portuali sono:
- l’incremento della “densità economica” del territorio di riferimento
- la capacità degli operatori stessi di porre in essere strategie di sviluppo basate su focalizzazione delle attività, innovazione tecnologica ed efficienza delle “operations”.
*Roberto Cinquegrani, laureato a Napoli e special student presso il Massachusetts Institute of Tecnology (Sloan school of management) ha cominciato la sua carriera come consulente di direzione aziendale presso RMG ed SMG Parigi (società di R. Normann). Per circa undici anni ha poi ricoperto il ruolo di amministratore delegato e consigliere di amministrazione in diverse consociate del gruppo Trenitalia nel settore cargo (Italcontainer, Intercontainer, TxLogistik, Serfer, Ferport, AFA). Dopo un’intensa esperienza nel settore del trasporto pubblico locale con ruoli direttivi sia nelle operations che nel commerciale, è tornato alla consulenza direzionale. Oggi è partner di M.R.G. Consulting, società romana con diverse esperienze nel settore della logistica e dei trasporti anche in Paesi in via di sviluppo (principalmente Etiopia ed Uzbekistan)
[1] Per esigenze di spazio, nel presente articolo verranno messi a confronto i dati 2016 con quelli 2018
[2] Si ringraziano i Dott. Ruggero e del Dr. Scuotto per la preziose collaborazione nella estrazione ed interpretazione dei dati.
[3] Tipicamente le rotte Container e quelle RO-RO sono servite attraverso collegamenti regolari settimanali o bi-settimanali, mentre le navi rinfusiere servono specifici traffici definiti do volta in volta.