Raffaele Langella: il modello “Singapore” , spunti per il sistema portuale campano
L’Ambasciatore anticipa alcuni degli scopi della missione di lavoro fissata per fine novembre
di Emilia Leonetti
- Ambasciatore, Lei ricopre l’incarico dal 1 agosto 2017, e ha avuto modo, credo, in oltre un anno di attività, di conoscere la Città-Stato di Singapore. Una Città-Stato grande come la Regione Campania se consideriamo il numero dei suoi abitanti, 5 milioni e 600 mila ( dati 2017). Un’economia, però, che a differenza della nostra cresce costantemente (oltre il 2% annuo) e in cui la disoccupazione è al 2,1%. Se, poi, consideriamo il porto, Singapore ha movimentato, nel 2017, oltre 30 milioni di contenitori in teu. Pur considerando le differenze “politiche” e “economiche”, quali sono i fattori che potrebbero essere utili ad uno sviluppo del sistema portuale campano, e più in generale della sua economia?
Posto che si tratta di due modelli non sovrapponibili, è evidente che uno studio accurato del sistema portuale singaporiano può fornire spunti interessanti anche per le strutture italiane, e campane in particolare. Il porto di Napoli gode di una posizione privilegiata, che la rende uno dei terminali naturali della c.d. “via della seta marittima”, il progetto infrastrutturale di ampio respiro avviato dalla Cina per incrementare i flussi commerciali tra Occidente e Oriente. Per fare ciò occorrono ovviamente attrezzature all’avanguardia e infrastrutture. Faccio un esempio quasi banale, ma la cosa che più mi ha impressionato visitando il porto di Singapore è il grado di automazione. Molte delle operazioni di carico e scarico, nonché di trasporto, sono eseguite senza bisogno dell’intervento umano, e questo permette di gestire in contemporanea un numero elevatissimo di operazioni. E ciò non ha conseguenze negative sui livelli occupazionali: il numero di tecnici specializzati richiesti per gestire una tale mole di operazioni è infatti molto alto. Un altro fattore di grossa attrattiva del porto di Singapore è costituito dalla cosiddette “Zone di libero scambio”, piccole aree a regime speciale all’interno del porto dove i prodotti possono essere stoccati, assemblati e rivenduti senza dover pagare dazi o imposte.
- Quali sono le azioni che dovremmo costruire per giungere, se non ad un’integrazione, almeno ad una più stretta collaborazione tra le aree portuali di Singapore e dei porti dell’AdSP?
L’integrazione avviene innanzitutto con l’intensificazione dei rapporti commerciali. Sono in ogni caso essenziali le prese di contatto “dirette”, come la missione del “Propeller Club” che si terrà a Singapore a fine novembre. Gli studi di sistemi portuali stranieri, ma ormai a noi sempre più vicini come quelli asiatici, sono fondamentali. Per fare ciò è necessario un continuo scambio di expertise, che può essere raggiunto solo incontrandosi periodicamente e costruendo una consuetudine che, al momento, non sempre esiste. Da parte di Singapore, del resto, questa consapevolezza c’è già da tempo: non per niente l’Autorità portuale della Città-Stato ha investito molto in due porti nostrani, Genova e Venezia.
- Il sistema portuale campano su cui l’AdSP del Mar Tirreno Centrale ha competenza, parla sulle sue banchine “cinese”. Nel senso che, nel settore del traffico container, circa l’65% della merce che arriva proviene dalla Cina. Senza voler pensare di interferire, ma volendo puntare ad un riequilibrio anche minimo tra import ed export, cosa, a suo parere, si dovrebbe fare a livello governativo, di Regione Campania e di AdSP?
Il nostro export verso l’Asia è in crescita. Come sappiamo bene, la capacità delle nostre imprese di avere successo sui mercati esteri è uno dei fattori trainanti della nostra economia. Con la firma dell’accordo di libero scambio con alcuni importanti Paesi asiatici, che prevedono tutele importanti per i nostri prodotti agroalimentari (abbattimento delle barriere non tariffarie e riconoscimento delle denominazione di origine, per fare due esempi), la situazione per i nostri esportatori è destinata a migliorare ulteriormente.
- Veniamo ora alla missione di lavoro organizzata dal Propeller club di Napoli per la fine di novembre. Alla missione prenderanno parte, oltre ad una significativa rappresentanza del cluster marittimo, il Presidente Pietro Spirito, il Direttore di SRM, Banca Intesa San Paolo. Quale contributo fornirà alla missione? Soprattutto quali sono i contenuti e gli obiettivi?
Come dicevo, è importante tessere una fitta rete di relazioni a tutti i livelli con i più importanti porti asiatici, per presentarci come partner credibili e cogliere a pieno le future opportunità di business. Da questo punto voglio sottolineare l’importanza di pubblicazioni come l’annuale rapporto sulla “Maritime Economy” di SRM, nel diffondere la consapevolezza dell’importanza dei traffici marittimi quale motore per la crescita. Nell’ultima edizione di quello studio un ampio approfondimento era dedicato proprio a Singapore: la missione del Propeller Club deve essere vista in ideale continuazione, sul versante del business, della missione di studio condotta da SRM la scorsa primavera. Dal canto nostro, come Ambasciata, abbiamo aiutato a stilare per la missione del Propeller un’agenda ricca di incontri con importanti interlocutori locali, sia del mondo istituzionale che degli affari, da cui sono certo scaturiranno numerose opportunità di collaborazione.
- Quali sono a suo parere i risultati che il sistema portuale campano e il nostro territorio possono, ragionevolmente, attendersi dagli incontri che si terranno dal 19 al 23 novembre?
Innanzitutto presentare un’immagine aggiornata del sistema portuale campano e delle opportunità che esso presenta. Vi sono state numerose riforme, negli ultimi anni, a livello sia nazionale che locale per rendere i nostri porti destinazioni commerciali sempre più attrattive. Sarà importante fare il punto dei progressi ottenuti e renderli noti a chi, dall’altra parte del mondo, spesso ha una visione parziale o non del tutto aggiornata del nostro sistema di infrastrutture marittime. Infine, credo sia importante sottolineare come la missione che si recherà a Singapore sia rappresentativa di diverse realtà italiane di spicco. Questo è fondamentale per dare un’idea di unità e di compattezza del “Sistema Paese”, che ha la sua forza nell’unità e nella cooperazione tra i diversi attori.
- Ambasciatore, ci siamo conosciuti in occasione della presentazione della ZES Campania, promossa dal Banco di Napoli, nello scorso mese di giugno. Esistono differenze “strategiche”, “fiscali”, “ normative” e “burocratiche”, tra le ZES italiane e le ZES asiatiche?
Vi sono numerose differenze, dal punto di vista tecnico e del contesto. Basti pensare che in Cina le ZES si collocano in prossimita’ di alcune delle città più ricche del Paese. Credo in ogni caso che da noi le ZES siano un eccellente strumento per promuovere maggiori investimenti al Sud e favorire il consolidamento di un sistema produttivo efficace sul territorio.
- Lei è napoletano, per lavoro ha avuto la possibilità di conoscere luoghi, persone, sistemi più avanzati. In questo momento vive e lavora in un Paese fortemente orientato all’innovazione ed estremamente competitivo sul piano della struttura industriale, della dotazione infrastrutturale, del sistema finanziario/bancario, per non parlare della gestione amministrativa efficiente e trasparente, cosa suggerirebbe per rafforzare l’economia del Mezzogiorno ? Ritiene le ZES uno strumento sufficiente o pensa che dovremmo individuare altri strumenti?
Si tratta di un argomento delicato e complesso, su cui sono stati scritti decine di volumi e che è difficile affrontare in uno spazio limitato. Credo che il modello Singapore, anche se può fornire alcune indicazioni utili, non debba però trarre in inganno: esso affonda le sue radici in un contesto culturale completamente diverso, quello asiatico, e costituisce un “esperimento sociale” unico, che ha funzionato anche per la limitatezza del territorio e della popolazione coinvolti. Non credo quindi che le sue ricette siano tout court trasferibili al nostro Paese. Sicuramente l’ambizione di Singapore a porsi come “hub” logistico e tecnologico per un mercato molto più ampio, quello del Sud Est asiatico, è qualcosa che può funzionare anche da noi. I porti Italiani devono essere la principale porta d’accesso all’Europa per i grandi flussi di merci provenienti dall’Asia. Per fare ciò non basta la posizione favorevole, ma occorrono infrastrutture all’avanguardia e servizi al livello con i nostri principali concorrenti mondiali. Siamo certamente sulla buona strada, ma chissà che questa visita a Singapore non fornisca spunti ulteriori…