Quattro domande a…
Ruggero Cappuccio: porti luogo di incontro di anime e di corpi
Come coniugare l’attività “tecnica” con una visione culturale degli spazi
di Emilia Leonetti
Che sarebbe stata un’intervista interessante lo supponevo, per questo ho insistito per avere un appuntamento, strappato tra un viaggio e una serie interminabile di riunioni. Ruggero Cappuccio, oltre a essere Direttore Artistico del Teatro Festival, è scrittore, regista teatrale e cinematografico. Ha, come rivelerà la nostra intervista, uno sguardo profondo sul nostro tempo e sul modo in cui viviamo i nostri spazi.
L’incontro avviene sul filo del telefono, l’appuntamento fissato per il tardo pomeriggio nella sede di Via Generale Orsini della Fondazione, era saltato per un impegno improvviso a Roma. Nonostante la distanza, la sua capacità di trasmettere emozioni e visioni sarà confermata grazie al principale strumento di cui dispone un’artista, un intellettuale: la parola ricca, sapiente, immaginifica.
- Vorrei iniziare la nostra intervista dalla conoscenza del porto di Napoli? Lo conosce, lo vive?
“Non ho una grande conoscenza, ma se non le dispiace, vorrei parlarle di quel che penso non solo del porto di Napoli ma anche di quello di Salerno. Ciò che collega i due porti e soprattutto ciò che ci collega è la comune storia che affonda le radici nella civiltà greca. Noi siamo stati influenzati dalla cultura e dalla civiltà greca come testimoniano le vestigia ancora presenti sul nostro territorio. Uno per tutti il tempio di Paestum, realizzato nel IV-V sec. a.c., e che sta lì a dimostrare quanto sia insistente quella civiltà e quanto abbia condizionato le nostre abitudini, le nostre conoscenze, la nostra immaginazione. I porti, che sorgono in epoca greca, sono sempre stati luoghi di arrivi, di partenze su cui si innesta un altro polo che appartiene alla nostalgia, quello del ritorno. Il dato è che a Salerno, come a Napoli, al di là di questo epicentro rappresentato dal porto, la spina dorsale su cui le due città sono state costruite e si sono sviluppate, è stata rappresentata dalla “scuola medica “ e dalla “scuola filosofica”. La cura cioè del corpo e la cura dell’anima. Quello era il programma operativo delle nostre città. Oggi quel programma si è inceppato. Non è più chiaro cosa voglia dire accoglienza, cosa voglia dire arrivare e partire da un porto e in che modo questo possa essere un’esperienza di incontro di anime oltre che di corpi.”
- Restando sul tema dei porti come luoghi di passaggio, nel tempo la sua idea del porto è cambiata? Soprattutto secondo Lei il porto è la città?
“Sarebbe bello se i porti fossero luoghi di incontri e luoghi di passaggi ragionati. Una volta il pesce si vendeva nei porti, nel porto si teneva il mercato. Oggi sono luoghi di convulsione, luoghi di attività industriali, di competenze tecniche. Il punto è che tutto ciò non impedirebbe di concepirli come luoghi di transito ragionato. Penso ad una libreria, ad un cinema, ad un teatro. Quello che emerge invece è solo la fisicità degli spazi, costituiti da biglietterie, gru, container , hangar. Una volta si diceva “ vado a fare un passeggiata al porto” . Non esistono attualmente spazi per passeggiare. La Darsena Acton è stata utilizzata per uno spettacolo nell’ambito di un’ edizione del Teatro Festival. Ma è stato un evento occasionale. Bisognerebbe rendere sistemico il suo uso. Volendo dunque rispondere alla sua domanda: il porto non è la città.”
- Lei è Direttore Artistico di una delle principali istituzioni culturali di Napoli. In che modo il porto può essere uno spazio di connessione tra culture e mondi diversi, oltre a essere un’ importante infrastruttura per lo scambio di merci e di persone?
“Volendo parafrasare il famoso libro di Anna Maria Ortese, potrei affermare che “ il mare non bagna il porto”. I porti sono, attualmente, degli ingressi, dei caselli autostradali. Eppure il centro della nostra vita è il mare. E’ il nostro topos. Lo scalo partenopeo ha, invece, infinite risorse, potenzialità che potrebbero farlo diventare l’ingresso ideale alla città. Per questo, oltre a quanto le dicevo prima, andrebbe conclusa la piazza a mare che partendo da piazza Municipio arriverà sino al molo Angioino. Per il porto di Salerno è stato importante realizzare la nuova Stazione Marittima progettata da Zaha Hadid. Inoltre nei pressi dello scalo c’è una spiaggia che rappresenta un’importante spazio di vita per i cittadini, a cui bisogna aggiungere la pedana in legno costruita a ridosso e che si presta ad essere utilizzata come arena per eventi, per non parlare del teatro “Pier Paolo Pasolini” a pochi passi dalla spiaggia.”
- Come cittadino, oltre che come intellettuale di spicco della nostra città, cosa si aspetta dall’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale?
“Il porto dovrebbe avere dei “pensatori” il cui compito dovrebbe essere quello di alimentare il versante culturale che ne è parte integrante. Il porto è un museo vivo, a differenza dei musei tradizionali che si compongono di opere fisse, il porto può essere la metafora del museo vivo. Le opere d’arte sono le persone che vi passano con i loro volti, sguardi, pensieri. L’opera d’arte è il mare con la sua bellezza mutevole, esteticamente mutevole. E’ chiaro che per questo sarebbe indispensabile avere occasioni di concertazione e una volontà da parte dell’Autorità portuale indirizzata a valorizzare l’aspetto culturale dei porti. “